sabato 27 dicembre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #7/2. Il capo ha detto: "C'è crisi".

Conversazione del 10.12.2008.

G - Ma quanto è duro il lavoro a fine anno?
D – Beh, non lo so per gli altri, ma per me è veramente una cosa… cioè giustamente a fine anno bisogna chiudere mille questioni e… cioè non ce la fai perché il capo ha detto “c’è crisi”, c’è meno gente che viene a lavorare e quindi quelli che restano devono fare il doppio. Devi avere la testa in talmente tante questioni , almeno per quanto riguarda il mio lavoro, che veramente arrivo al 6 che sono cotto come una cavra.
G – Cos’è che mi dicevi? Che devi chiudere i conti con i fornitori?
D – Eh, voglio dire, io lavoro per una ditta che ha un sacco di fornitori, perché ogni prodotto viene fatto da una ditta diversa praticamente, e quindi, cioè, devi chiudere i bilanci perché devi vedere la progressione, le vendite dell’anno scorso nei confronti di questo, quali sono stati i momenti più alti e quelli più bassi, quando hai comprato di più e quando hai comprato di meno, il prezzo, cioè veramente ti tocca discutere con delle persone al telefono che ovviamente come te hanno i coglioni girati perché proprio fine anno, allora non riesci mai a mantenere un filo di dialogo. Cioè, ogni cosa che tu dici è una lancia in mezzo al petto all’altro… sì, una lancia così [mima l’essere colpito da una lancia con indicibile realismo], no? Così tu ne lanci una e l’altro un’altra, e allora diventa un battibecco al telefono. Tipo, ho chiamato una ditta di Genova, e me risponde uno che mi dice: “Ah, beh, noi non vi consideriamo più clienti nostri”. Ma perché?
G e F – (risate)
D – “Perché avete comprato 2,8% in meno del mese scorso”. (Urlando) Dio povero, se no vendo cosa vuoi che compro? Vacca boia, cioè, non so, e poi: “Ci dovete 72 bancali”. Ma come? 72 bancali? Costano quasi 8 euro all’uno, per 72, porca puttana, solo di bancali, sono un sacco di soldi. Cioè i bancali son fatti di legno, però sono firmati EPAL, per la comunità europea, e costano 8 euro all’uno, toh, 7.75 per la precisione. Vacca boia. E allora lì con la calcolatrice a fare 72 x 7.75, quanti soldi sono? Solo di legno! E allora cerchi, vai da quello che c’è lì all’angolo che va col camioncino a raccogliere i bancali dappertutto, glieli compri alla metà, glieli dai indietro alla ditta e alla fine ci perdi di meno. E poi non è finita. Devi finire l’inventario e bisogna fare la revisione di tutte le macchine aziendali, attenzione, che non si scherza... cambiare cinghie...
È il mondo del lavoro, butei, siamo in crisi.

lunedì 15 dicembre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #7/1. Il Zian sta sempre come ieri. Cosa ne pensate?

Conversazione del 10.12.2008. Il tema vincitore.

G – Ci siamo, la serata più importante dell’anno. Sei agitato?
D – No.
G – Sembri agitato.
D – Non sono agitato, son solo, cioè… un po’ di malessere.
G – Perché?
D – Eh beh, per la stagione. Faccio fatica a respirare.
G – Come il Zian.
D – No, no, no. Non sono a quei livelli lì ancora.
G – Non “tremi mai prima di addormentarti”?
D – Beh, sì, ma de fredo.
G – Allora, insomma? Hai pensato a come sviluppare il tema che hai scelto?
F (Fabio “Fax” “Mauricio” Ridolfi, fabiorido@infinito.it) – Allora, insomma, Daniel?
D – Mah, sinceramente non ho pensato assolutamente niente. Volevo che fosse una cosa abbastanza spontanea.
G – Come mai sei così agitato?
D – Madonna, ancora. Non sono agitato. È che è da un po’ che non ci troviamo, quindi, insomma, devo ancora rimettere in sintonia certi ritmi.
G – Forza allora, il tema di questa sera è…
D – Il Zian, due punti, sta sempre come ieri. Cosa ne pensate? Oddio, allora, volevo fare una piccola premessa, come mi vien concesso ogni volta. Allora, quando io ho formulato questa domanda, dentro il questionario, che dopo è diventato un sondaggio…
F – Stai parlando a tante persone adesso.
D – Quando, dopo dire “il gian sta sempre come ieri”, ho messo una piccola domanda, “cosa ne pensate?”, io pensavo che voi potevate dire la vostra su questa questione, invece vi siete solo espressi nel concetto di scegliere quel discorso.
G – Te lo ripeto per l’ennesima volta, tu dovevi scegliere dei possibili temi da sviluppare. L’errore è stato caso mai metterci quella domanda.
D – Sì, ma è il fatto che dentro il blog io pensavo che comunque i temi che c’erano dentro quel piccolo sondaggio erano… cioè non erano solo dei temi… cioè io pensavo che la gente potesse interagire nell’articolare questo qua… o magari darle un suo… darle una sua opinione che dopo possiamo prendere e far diventare nostra o sviluppare quell’opinione in sé.
F – (risate) Ah, ok. Detta in poche parole.
D – (risate) Insomma, faccio fatica a respirare. Altrimenti lo direi più veloce.
G – A questo punto non possiamo fare a meno di presentare l’ospite di questa sera , che questa sera non veste i panni dello psicologo ma di semplice spettatore…
D – Dopo un fine settimana di paura e terrore a Molina…
G – Ecco a voi…
F – Grazie mille, sono molto contento di essere spettatore.
D – E sei?
F – E sono… Marco Stevanella. Da non confondersi con Marco Stevanella perché sono Stebbanella.
[…]
G – Insomma, Daniel, è andata così, ci siamo capiti male come sempre. Comunque tu adesso devi…
D – Devo svilupparlo io come ogni cosa. Eh… allora io avevo proposto questa cosa perché me sembrava una cosa simpatica, nel senso che è un personaggio che, nel bene e nel male, è una cara persona per noi, è in mezzo alle nostre cose, quindi in qualche maniera volevo renderlo partecipe, in una maniera anche indiretta. Un po’ facendo come fa lui, no? Che ha quel modo di fare schermaglie con gli altri, no? Cioè quando discute, lui che è molto… cioè lui quando discute è sempre che sta lì a battagliare ogni risposta, ogni domanda, cioè è tutto un via vai di… e allora volevo metterlo un po’ al centro dell’attenzione per vedere come…
G – Ha vinto purtroppo .
D – Eh, lo sapevo… cioè io… c’eran due tre temi su cui io puntavo. Sapevo che lui poteva essere o primo o secondo.
G – Dai forza, sviluppiamo ‘sto tema.
D – Allora, cosa vogliamo dire?
F – (risate) Dì qualcosa, dai.
G – (risate) Dai, Daniel, devi sviluppare il tema che hai scelto. Stiamo facendo una figura di merda. Quindi, il Zian sta sempre come ieri.
D – Ossia…
G – Ossia cosa ne pensate?
F – (risate)
D – Allora, il discorso è che…
F – (grassissime risate)
D – Eh, oh, estò tentando di…
G – Dillo con una metafora.
D – Eh, dillo con una metafora. Sto tentando di narrare una sensazione che ho da un po’ di tempo.
G – Una metafora molto suggestiva.
D – Va be’, lo so, mi dici “ dì una metafora”, de cosa vuoi che te parli? Cioè, non so, è difficile trovare una metafora sul Gian, tra l’altro.
G – Sì, va be’, buonanotte.
D – Va bon.
G – Non ne usciamo. (urlando) Sviluppiamo ‘sto tema o no?
D – Alllora, il tema è questo, il Zian…
F – Ossia…
G – Dai, intanto, perché “Zian”?
D – Perché… va be’, questa è una vecchia cosa che adesso rispolveriamo e ci allontaniamo ancora di più dal discorso.
G – Ma no, dai, in due parole.
D – No, è difficile. Allora, anni fa, quando eravamo sì già amici, ma no come oggi, insomma, anni fa, io mi ero inventato un po’ questa estoria che io ero questo fanatico del gruppo che venivo dalla bassa. Che dicevo sempre: “Eh, gò beccà la nebbia, la pioggia, eeeh…”, cioè, te ricordi?, tutte le malarie per arrivare lì e dire: “Ma ‘ndo elo che suona gli uacs?”. Allora, c’era questo personaggio che veniva dalla bassa e loro sono molto… cioè hanno questa sonorità tipo “Zian”, “Zinque”, tutto così…
G e F – (risate)
D – E allora è per quello. Volevo rendere il suo nome, cioè fuori dal contesto, cioè spiazzandolo un po’. Lui non parla dialetto, perché non lo sa parlare, e allora, cioè, per quello.
G – Bene, forza, avanti.
D – E poi, come sta il zian? Una domanda da un miliardo.
G – Sta sempre come ieri.
D – Lui dice che sta sempre come ieri. Perché stare sempre come ieri vuol dire che nella tua vita non c’è progresso, cioè sei sempre al punto di prima.
G – Ma dice davvero così?
F – Confermo.
D – Sì, lui dice sempre… cioè quando io incontro il Gian lo faccio sempre apposta, cioè gli chiedo: “Come stai?”. Siccome è probabile che io lo abbia visto neanche un giorno prima, cioè venti ore prima, lui mi dice “Beh, come ieri”. Va be’, ma se “come ieri” vuol dire che ieri ti ho chiesto e mi hai detto “come ieri”, cioè allora vuol dire che se va sempre più indietro. Cioè se va più indietro invece de andare avanti. Se è sempre come ieri… cioè un giorno di meno, un’esperienza di meno, qualcosa di meno… està sempre peggio! Escalation in giù.
G e F – (applauso)

mercoledì 3 dicembre 2008

Ma chi è il provocatore?

Il provocatore ha scritto:
. “ei tu, con quella barbetta non mi piaci per niente!”
. “vedere la tua faccia e sentire le tue farneticazioni rischia di rovinarmi la domenica”
. “sciocco”
. “mi sa che sei uno di quei mediocri che la domenica pomeriggio guarda qualche partita di calcio sbronzandosi e fumando canne mentre la fidanzata ti fa le corna con qualche insegnante di latino americano o peggio ancora di yoga”
. “povero stronzo”
. “il tuo fisico è piuttosto moscio”
. “da adesso in poi tu sarai il jim morrison del Brenta”
A tutto questo va aggiunto che in un’occasione il provocatore si è pure permesso di rispondere al Nostro in latino. Bastardo.

Ti scoveremo, maledetto provocatore.
Prossimamente su kasparhouser.

sabato 22 novembre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #6/3. Ribellarsi oggi.

Conversazione del 22.10.2008.
Riflessioni dopo la cena con gli amici Ustioni e Frenco.
PARTE SECONDA. Cosa significa ribellarsi oggi.
D - Oggi, nonostante siano cambiate tantissime cose, soprattutto per quello che riguarda i sistemi di comunicazione di massa, direi che la forma più nobile di ribellione è comunque la stessa, cioè nel senso di non adeguarsi a certe cose.
Cioè, c’è un senso di ribellione che abbiamo tutti quanti dentro, che lo tiriamo più o meno fuori a seconda di quello che è la nostra personalità e quello che abbiamo vissuto.
Però, comunque, prima o poi nella vita ci deve essere una ribellione.
Secondo me una ribellione è il fatto di tirar fuori le cose più profonde che ha uno dentro, far capire cioè che son quelle le cose che importano piuttosto che tante altre.
Tutto qua, la ribellione è quello, saper comunicare quello che uno ha dentro.

sabato 1 novembre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #6/2. Al sapere la chiamano fortuna, alla disgrazia stupidità.

D - C’è un detto che diceva mio nonno in Argentina, che io lo ricordo perché secondo me è molto vero, ed è una verità soprattutto molto nostrana de quello che è la cultura italiana e argentina. E questo detto qua diceva praticamente che “al sapere la chiamano fortuna e alla disgrazia stupidità”.
Secondo me molte volte è vero. Spesso quello che vince, vince perché quasi sicuramente c’è una questione di sapere, di consapevolezza dei mezzi, per poter vincere. Però spesso questa cosa viene sottovalutata dicendo che è fortuna. Cioè, uno che è bravo a fare una cosa tante volte azzecca perché è bravo, perché ha capito la cosa. E altre volte ha un po’ di fortuna, cioè condotta da questo che lui pensa che sia la cosa giusta da fare. Però, cioè, la fortuna è una componente che secondo me ha cinquanta per cento, o anche meno, di quello che… cioè spesso si dice che tante volte una squadra che vince una partita vince perché è stata fortunata. Magari non è tanto vero. Quella squadra lì ha interpretato meglio e ha vinto la partita azzeccando una cosa giusta, cioè consapevoli tutti quanti di fare la cosa giusta.
Questa è una, poi c’è quell’altra parte della frase, quella che dice “alla disgrazia stupidità”. Cioè, nel senso, ci son tante persone che spesso cadono nella disgrazia perché magari sono ignoranti su certe cose e comunque spesso per tanta gente viene valutata questa cosa come stupidità.

martedì 28 ottobre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #6/1. Ribellioni.

"Abbiamo detto cose che voi umani non potreste neanche immaginare"
Dedicato al Doctor Conti, e alla sua battaglia per la salvaguardia della lingua italiana. Non avrai vita facile.

Conversazione del 22.10.2008.
Riflessioni dopo la cena con gli amici Ustioni e Frenco.
PARTE PRIMA. Farla franca, l’ultimo grande atto di ribellione.

G – Allora, innanzitutto vorrei che mi spiegassi perché l’altra sera ti sei incazzato così tanto per il discorso del taxi. Eravamo tutti pieni, avevamo deciso di tornare in taxi ancora prima di partire, non hai neanche pagato, che bisogno c’era di fare una scenata così?
D – Allora, la risposta penso che non sia così difficile. Il fatto principale penso che sia che praticamente fin dalla partenza e anche prima, quando avevamo organizzato la serata, avevamo deciso che questa serata doveva essere all’insegna di praticamente quasi tutti gli eccessi o degli sfizi che volevamo toglierci. Direi che la serata è andata in maniera ottimale, cioè veramente…
G – Scusa, direi di cogliere l’occasione anche per salutare…
D – … i nostri amici Ustioni. Eh, per primo Andrehino, che ogni volta che c’incontriamo sembra un bel duello di titanisti…
G – (risate)
D – Beh, lo stesso saluto va allungato sia per il Longo, che ha fatto un lavoro straordinario in tutto questo periodo di gestazione del disco, eccetera, e anche perché è una persona squisita.
G – Vacca boia, commovente.
D – Non possiamo neanche togliere la stessa quantità di ringraziamenti anche per il Doctor Conti per quel che rappresenta noi.
G – …
D – E beh, e anche Franco…
G – Ma volevo ben dire.
D – No, no, per carità di Dio, Franco è una persona che col tempo ho imparato ad avvalorarla molto di più, e comunque ci stiamo conoscendo, ecco.
G – All’inizio c’era un po’ di attrito tra voi due.
D – Ma no, era uno scambio di personalità forti, ma niente di più, cioè, non c’era niente di… cioè non esiste neanche un filo di cattiveria.
G – Quanto mi piacerebbe avere qualche filmato delle partite di calcetto.
D – Nei campi di calcio spesso ci faccian tutti sentire in una maniera più spinta del solito e quindi questo può riportare certe asperezze, ma niente di più, ecco. E Franco anche perché ha avuto un gesto bellissimo in questa serata che, almeno da parte mia, verrà ricordato a lungo. Comunque non deviamoci troppo, ecco, e a tutti e quattro tantissime cose belle.
E poi mi sono un po’ incazzato per il fatto che praticamente, essendo questa serata all’insegna delle goliardate, mi sembrava anche giusto e legittimo fare l’ultima e l’ennesima goliardata quella sera fottendocene di quello che poteva essere la sicurezza che ci dava il taxi, cioè, scampare ai controlli aveva cioè, non lo so… ci dava un potere che non avevamo, ecco. Era l’ennesimo eccesso che secondo me era bello da compiere.
G – Comunque l’altra sera non dicevi così, dicevi che ti dava fastidio il taxi per una questione di principio, perché non ti volevi adeguare al sistema, e puttanate varie.
D – Appunto, perché ci eravamo prefissati di farle tutte, e un ultimo rischio così era una cosa che rendeva la serata ancora più bella. Comunque è così, questo non rovina ciò che è stato prima, ecco, era l’ultimo rischio che si correva e secondo me riuscivamo a scampare anche questa cosa qua. E mi piaceva anche il fatto di partecipare come…
G – Quello che guidava.
D – Quello che guidava, sì.
G – Volevi fare l’eroe?
D ­– Non so se l’eroe… almeno cioè far capire che comunque sì, su tante cose mi piego, però non mi spezzo. È come lo spirito del Rock & Roll.

giovedì 23 ottobre 2008

SMS SBAGLIATI: CHE FARE? RISPONDERE O MENO?

Il seguente sondaggio è stato voluto dal Cercavite, sua la selezione dei temi, sua la stesura su pagina a quadretti (clicca sull'immagine per ingrandirla). Non dovete far altro che lasciare un commento con il tema che preferite: quello che raggiungerà il maggior numero di preferenze verrà sviluppato nel corso del nostro prossimo incontro.
Si può votare più di una volta, i minorenni una volta soltanto.

. IL CAMPARE GIORNO DOPO GIORNO PER I GIOVANI PRECARI
ipotesi di sviluppo: TEMA DOWN UNDER (ARTICOLARE PER ARRIVARE A COSE BELLE)

. RELIGIONI EXTRA CATTOLICA: CHE NE PENSIAMO E QUANTO SAPPIAMO
ipotesi di sviluppo: GRAN POCO

. I MITI: LE GRANDI FIGURE DELLA STORIA (I MODELLI CHE OGGI NON ABBIAMO PIU’)

. I RAPPORTI D’OGGI (A 360°)

. MUSICA D’OGGI / MUSICA D’ANNATA

. ANEDDOTI SPORTIVI (MARCE PARTECIPE)
ipotesi di sviluppo: IL DERBY PIU’ BELLO DEL MONDO / LA FINALE BAYERN – NAPOLI (SUPER DIEGO)

. CONCERTI DA RICORDARE
ipotesi di sviluppo: SEMPRE SOTTO LA PIOGGIA

. L’ARBITRO – IL PORTIERE (L’ALTRO CALCIO)

. LA DONNA MUSICISTA (IL RAPPORTO DELLA DONNA CON LA MUSICA)
ipotesi di sviluppo: A NOI UOMINI PIACE O NO?

. I VIZI E GLI SFIZI

. L’HELLAS / IL CHIEVO (LA MIRABOLANTE PROMOZIONE!)

. COME TI PIACEREBBE INVECCHIARE?
ipotesi di sviluppo: SONO AL VENTISETTESIMO ANNO (MORTE DELLE ROCKSTAR)

. LA DONNA A 360° (TAVOLATA)

. L’ANIMALE
ipotesi di sviluppo: UMANO E NO

. KROEN vs EMPORIO
ipotesi di sviluppo: WORKING CLASS HEROES

. COME PUO’ FARE MARCE A SPIEGARMI BATTISTI
ipotesi di sviluppo: NON SI PUO’

. FELIPE E GLI INTERESSI CREATI (FRASE E GRUPPO)
ipotesi di sviluppo: ANCHE NO

. PERCHE’ DOTTORCONTI CI PIACE COSI’ TANTO?
ipotesi di sviluppo: SINCERO, AUDACE E SENTIMENTALE

. RISSA: DOVE C’E’ SCRITTO CHE NON SI PUO’ IN SITUAZIONE DI DUE CONTRO UNO?

. IL “ZIAN” (il Mercati) STA SEMPRE COME IERI. COSA NE PENSATE?
ipotesi di sviluppo: CHE STA SEMPRE PEGGIO

. SMS SBAGLIATI: CHE FARE? RISPONDERE O MENO?
ipotesi di sviluppo: ANEDDOTO GNAPPA

. LE MAGLIE REALOSER: PESANTI O IMPEGNATIVE?

. LE RAGAZZE: VOGLIONO I PRELIMINARI PERCHE’ E’ L’APPROCCIO GIUSTO AL SESSO O SOLO PER SENTITO DIRE IN TV CHE E’ PIU’ FIGO CHI LI PRATICA?

mercoledì 17 settembre 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #5/1. Tema libero.

Conversazione del 09 settembre 2008.
Senza droghe.

D – Un tema libero può essere che forse ho scoperto una cosa che cercavo da un po’ di tempo.
G – Cosa?
D – Forse ieri mi si è aperta una porta.
G – Spiega.
D – Parlo di una cosa molto personale, non voglio estendermi troppo.
G – Si è detto tema libero, sei tu che scegli, se non vuoi parlare di questa cosa…
D – No, no, è solo una sensazione che volevo allungare, così. Forse ieri si è aperta una porta che potrebbe essere anche importante, per quanto mi riguarda.
G – Aspetta vecchio, ricordati che stiamo registrando, non dire cose di cui poi ti potresti pentire.
D – Restando anche sul vago, comunque può essere anche percepita questa cosa. Ieri sera ci sono stati degli sviluppi su una vicenda che mi riguarda e… mi ha fatto molto piacere perché ormai prima che succedesse questa cosa io ero un po’ reticente.
G – Avevi perso le speranze?
D – Non so se proprio perso le speranze, ma cominciavo a pensare che era un po’ troppo semplice la cosa, invece ieri c’è stato… non so neanche come definirlo, c’è stato un momento in cui ho percepito che forse, se invece di essere reticente continuo su una certa linea, come avevo già preso prima, ci possono essere degli sviluppi importanti.
G – E questo è il messaggio che volevi far percepire?
D – Sì, sì.
G – Io ho percepito poco.
D – Oddio, chi vuole capire capisce. Si potrebbe chiudere il discorso con un consiglio che è quello di crederci fino in fondo.
G – E cambiare tattica al momento giusto.
D – Cambiare tattica sì, può essere utile, però, nonostante uno cambi tattica, deve sempre restare qualcosa della tattica precedente.
G – Giusto.
D – Perché è quello che dà l’impronta alla mossa. La tattica buona è quella che viene cambiata, ma cambiata nel senso di sviluppo di quella che c’era prima.

sabato 6 settembre 2008

Che cos'è l'Amor.


di Daniel Adami


[1]

L’amore, due punti, tenta di capirlo.
Io ci ho provato, ci ho tentato, ma non ci son riuscito.
Forse qualcuno è riuscito a cogliere qualcosa,
forse stasera ho capito qualcosa.
E adesso devo muovermi.
È difficile, è dura,
però, se ci riesco,
è una grandissima cosa.
Non solo per me, ma anche per gli altri.


[2]

Mi sto fumando una cicca
e la cicca si consuma come si consuma l’amore.
L’amore è anche questo.
L’amore si consuma, deve essere vissuto fino in fondo.
Chi vuole capirlo lo capisce.
Come dicevano i CSI:
chi c’è c’è, e chi non c’è sta a casa.
E chi sta a casa dorme, e non capisce un cazzo.
Uscite di casa, capite cos’è l’amore,
perché l’amore è una cosa importante,
in tutte le sue forme.

Ci han dato buca, ma noi ci crediamo ancora.
Grandissimi tutti quelli che ci credono ancora.
Possiamo anche chiudere,
però la finestra resta sempre aperta.

sabato 30 agosto 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #4/2. L'uomo del ristorante è Gesù Cristo.

Conversazione dell'08 luglio 2008. Ore 21.00.
Vanilla Sky, il film più bello del mondo.
PARTE SECONDA.

[...]
G – Ma perché?
D – Perché si schiantano in macchina e hanno un incidente.
G – Daniel, mi stai prendendo per il culo?
D – (sbuffando) Perché lui se sfigura il volto.
G – Eccheccazzo, cosa ci vuole a dirlo? Dai, forza, fatti. Lui si innamora, la mattina seguente si trova una pazza fanatica che lo aspetta sotto casa. Lei gli chiede di salire in macchina, lui sale...
Come va avanti il film?
D – Da qua in poi possiamo parlare che il film comincia a prendere una piega simile a quello che sarebbe...
G – Matrix.
D – No, il fantasma di Notre-Dame
G – Sì. Il gobbo di Notre-Dame
D – Sì, la bella e la bestia. Oppure potrebbe essere il fantasma dell'opera, in cui c'è questa persona che deve cominciare a vivere la vita con una concezione abbastanza diversa di com'era prima e passa da essere il bello ad essere la bestia, e si crea in lui una dualità di personalità, in cui lui essendo una bestia riesce a tirare fuori il bello di sé.
G – E cosa succede?
D – Questa persona tenta di riconquistare la vita che aveva prima e soprattutto la donna che aveva prima, che aveva conosciuto la sera prima, in cui non era successo niente di che.
G – Solo un bacio.
D – Un bacio. E quindi lui in teoria impazzisce, va a finire in galera perché, secondo la polizia e diversi giudici e via dicendo, uccide questa donna.
G – Quale donna?
D – La sua ex ragazza, quella che lo ha fatto schiantare.
G – Ma non era già morta?
D – Era già morta, però lui passa da essere la vittima al colpevole, che in teoria era stato lui ad ucciderla ed è per quello che va in galera. Giusto?
G – Insomma. No. Io ho visto un altro film.
D – Cioè?
G – Lui dopo l'incidente ha il volto sfigurato.
D – E tutto il resto della storia è stato creato nella sua mente.
G – No, non tutto, gran parte. Adesso siamo al punto in cui lui esce dall'ospedale, ha una maschera, e va in discoteca con la donna che aveva conosciuto il giorno prima dell'incidente e il suo migliore amico. Sta di merda, beve tantissimo, ti ricordi?
D – Ha dato il peggio di sé.
G – Ok, esce dalla discoteca, sviene sul marciapiede, e come va avanti la storia?
D – In quel momento lì lui si è creato in mente questa donna che veniva a salvarlo.
G – Ok, bravissimo
D – E da quel momento in poi lui miracolosamente riusciva piano piano a guarire e a stare con questa donna. Gli sistemano il volto con una operazione...
G – ...e torna bello come prima.
D – Sì, come era stato prima.
G – Ok, quando sembra andare tutto per il verso giusto lui comincia ad avere delle visioni.
D – E non riesce più a concepire quello che è vero e quello che è falso.
G – Chi torna in scena?
D – Torna una figura, che sarebbe il suo terapeuta, in teoria, che tenta di farle capire quello che è vero e quello che è falso. Questo personaggio viene interpretato da Kurt Russell, che fa il suo psicologo terapeuta, psicoterapeuta, che tenta di spiegargli perché lui è arrivato a quel punto di non capire quello che è vero da quello che è falso.
G – Sì, ma hai saltato un passaggio. Lo psicoterapeuta interviene nel momento in cui lui viene incriminato. Perché viene incriminato? Perché inizia a vedere Cameron Diaz, la sua ex ragazza pazza morta, e...
D – ...e lui pensa che questa ragazza qua rappresenta Penelope Cruz, che in realtà dovrebbe essere la ragazza dei suoi sogni. E lui non riesce più a distinguere una donna dall'altra. A un certo punto c'è una scena rappresentata dal subconscio in cui lui sta con tutte e due in contemporanea, e lui si fa l'idea in testa di aver ucciso quella ragazza lì.
G – Quale?
D – Cameron Diaz, che era stata la ragazza deceduta e quella che lo aveva portato de schiantarsi. E da lì era cominciata la sua seconda vita, diciamolo così.
G – Un altro punto importante. Cosa significa “seconda vita” nel film?
D – La seconda vita è l'argomento più importante perché tramite questa cosa qua e tramite soprattutto questo terapeuta, che lo segue e che riesce a fargli capire che lui non riesce a capire più quello che è vero e quello che è falso, di capire che in realtà quello che lui sta vivendo in quel momento lì, che è la sua seconda vita... Cioè praticamente la sua seconda vita è stata una cosa che lui quando ancora era dentro la sua prima vita, era una cosa che lui aveva scelto di fare, e non veramente una cosa che le fosse successa. È una scelta che lui aveva preso prima, tramite un'agenzia che le offriva questa possibilità di avere una seconda vita.
G – Cosa avrebbe dovuto fare lui?
D – Uccidersi, criogenarsi, e vivere soltanto nel sogno e nella mente. Non più nel fisico.
G – E quindi lo psicoterapeuta in realtà non esisteva.
D – Era una figura che lui si era creato per capire il suo subconscio.
G – Bravissimo.
D – Questa era una delle figure che lui si era creato, ma non era solo quella, e adesso arriviamo al dunque. La figura più importante rappresentata nella sua seconda vita era quello di cui abbiamo tratto il sottitolo. E quindi: chi è l'uomo del ristorante? E cioè la figura che le offriva di avere una seconda possibilità e quindi una seconda vita. Questa persona qua era rappresentata da una persona innocua alla vista, ma che aveva un grandissimo potere. Una specie di secondo dio. E quindi tutta questa scena succede in un ristorante ed è per quello che noi ci chiediamo: chi è l'uomo del ristorante?
G – (risate)
D – Dopo questa figura qua, alla fine del film, gli viene incaricata la responsabilità di spiegare tutto quello che era successo prima e quello che stava succedendo in quel momento lì. Quindi questo uomo del ristorante rappresenta una specie di semidio che ci creiamo tutti noi uomini, perché non riusciamo a credere soltanto a un dio assoluto, se no... è una specie di Gesù Cristo, che è una figura che viene come un dio, che ha la capacità di spiegarci come se sviluppano le cose. È questa l'interpretazione che io ho del film.

martedì 26 agosto 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #4/1. Ma chi è l'uomo del ristorante?

Conversazione dell'08 luglio 2008. Ore 21.00.
Ci davano per dispersi, eravamo solo in vacanza.
Vanilla Sky, il film più bello del mondo.
PARTE PRIMA.

G – Daniel, Vanilla Sky.
D – Allora, il titolo c'è già. Adesso facciamo il sottitolo, che rende ancora di più il succo del discorso: “ma chi è l'uomo del ristorante?”. Allora, questo film l'abbiamo guardato in una situazione particolare e quindi è venuto ad essere rappresentato in una maniera abbastanza... come dire, tenterò di spiegarlo nella maniera più romanzata possibile.
G – Pur attenendoti alla realtà dei fatti.
D – Assolutamente. Allora, è stato un film che su certi versi ci ha colpito tantissimo, è stato un film che ci ha aperto a delle nuove maniere di comunicazione, perché, prendendo spunto da alcune frasi che sono state sparate dentro questo film, siamo riusciti ad abbinarle a discorsi vecchi, nuovi, giusto per approcciare la situazione. È un film che ci dà diverse possibilità di interpretazione e quindi apre un gioco come dire... prendendo spunto da una cosa che ho sentito dire a Jimi Hendrix, quando lui diceva che la sua musica era una specie di chiesa elettrica. Cioè, riusciva a rappresentare un credo su una corrente diversa. Penso che questo sia lo spunto più importante del film, al di là di quello che venga dopo ad essere rappresentato dentro. È un film che intriga molto fino alla fine ... che ha delle cose che trovo assolutamente geniali e altre cose che trovo assolutamente banali, ma che danno il giusto complesso per arrivare alla fine del film non troppo tesi. Insomma io la cosa che riesco a trarre di più di questa visione è il fatto che ci ha offerto la possibilità di comunicare in una maniera diversa, riprendendo vecchi discorsi e riarrangiandoli. Ci ha dato una possibilità di comunicazione diversa, è questo il succo del discorso.
G – Ok, ma io ti chiedo una cosa apparentemente più semplice, la trama.
D – La trama del film io sono riuscito a collegarla con quello che sarebbe la trama di Matrix, con un'impronta diversa. C'è da dire però che il protagonista del film, Tom Cruise, dietro a sé porta un bagaglio un po' troppo ambiguo, perché è un bravo attore ma la sua vita privata lo porta ad essere un po meno kitsch.
G – Va be', forza con la trama.
D – (seccato) Tornando al discorso di prima io la trama l'ho trovata...
G – Lascia perdere il tuo giudizio sulla trama, dimmi la trama basta.
D – Allora la trama l'ho trovata abbastanza simile a quello che ci propone Matrix, da un punto di vista diverso, in cui ci offre la possibilità di capire il momento in cui stiamo vivendo. Poi c'è da aggiungere che ci sono dei lati del film in cui ho trovato delle banalità perché... cioè la trama, su certi punti del film, è abbastanza scontata, in altri versi...
G – Scusa Daniel, non ci capiamo...
D – Allora (molto seccato) la trama parla...
G – Oooh.
D – ...di questa persona, che è uno dei personaggi che se propone più che mai la cultura americana dei vincenti, che, nonostante aveva avuto un percorso di vita un po' troppo spericolato, ha la possibilità di avere una seconda opportunità nella vita.
G – Sì, ma cosa succede nel film? Come inizia? Dai.
D – Allora c'è questo personaggio che è un figo dell'ostia che ha la possibilità di sviluppare la sua qualità al massimo, ha la capacità di gestire delle cose che noi potremmo solo immaginarci nel nostro subconscio, che a un certo momento del film prende una brutta piega per via, in teoria, di una donna che lo fa andare fuori dai suoi binari giusti, e questa cosa gli cambia la vita. E quindi lui dopo deve rifarsi una vita, tornare ad essere quello che era , ma riesce a farlo soltanto nell'immaginario.
G – Allora, lui è un figo della madonna pieno di soldi, una sera conosce una donna, Penelope Cruz, e se ne innamora. Il mattino seguente si sveglia, scende in strada,e chi si ritrova ad aspettarlo? Cameron Diaz, la sua ex. E cosa succede?
D – Cosa succede? Che tutto quello che lui si era riproposto la sera prima conoscendo questa donna viene meno.
G – Perché?
D – Perché rincontra questa ex abbastanza incazzata, e lo invita in macchina. Nel percorso del viaggio in macchina questa persona gli offre delle alternative che non erano dentro i suoi canoni che si era fatto entro la sera precedente e la sua vita si sconvolge perché questa donna che non riusciva ad avere un equilibrio mentale, diciamo così, all'altezza del personaggio, lo riporta ad avere un incidente, e lei muore, lui invece subisce un danno ancora più importante di lei...
G – Peggio della morte?
D – Peggio della morte, perché peggio della morte? Perché lui resta in vita, ma non riesce più ad essere la stessa persona che lui aveva sempre sognato e realizzato di essere fino alla sera precedente. E quindi deve ripartire, ricominciare da zero.
G – Ma perché? Spiega.
D – Perché lui soffrendo questo incidente non riesce ad essere più quello da vincente come lo era prima, perché perde questo suo lato carismatico e quindi non ha più la possibilità di svilupparsi come persona come prima.
G – Ma perché?
D – Perché si schiantano in macchina e hanno un incidente.
G – Daniel, mi stai prendendo per il culo?

martedì 8 luglio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #3/4. Indumenti.


I pantaloni in similpelle.
D – Me ricordo che un po' di tempo fa, l'estate scorsa, dovevo trovarmi con degli amici a piazza Erbe e io non avevo cosa mettermi, e mi son messo i pantaloni di pelle, similpelle. E avevo le Clarks, e son andato così a piazza Erbe. I miei amici non erano ancora arrivati e son andato a prendere un paio di birre. Mi guardavano tutti in una maniera incredibile, impressionante. C'erano sulla tv dei concerti gratis che faceva Mtv, c'era il concerto dei Foo Fighters, e sembravo uno di loro. Vacca boia, tutta piazza Erbe che mi guardava. Quella è stata una volta incredibile, veramente, fottermi assolutamente dei fighetti del cazzo, con i miei pantaloni in similpelle.

Le ciabatte.
D – Ti ricordi quell'estate che venivate a fare le prove qua e tu avevi sempre la maglietta degli Yes? Ce l'avevi sempre, con le bermude e le ciabatte.
G – (ridendo) Parlami delle tue ciabatte.
D – ...
G – No, perché mio fratello mi ha raccontato che al Prog fest il Marce ti aveva detto di parlare sul blog delle tue “ciavade” e tu ti sei messo a raccontare un aneddoto sulle ciabatte.
D – Perché io avevo capito ciabatte, e c'era un aneddoto che era fantastico. Perché quando è vento a trovarmi Felipe, che era l'ultima partita di campionato di calcetto, io mancavo, ovviamente, perché c'era lui e volevo stare con lui, e avevo i cartellini della partita scorsa nella borsa. Allora Fabio doveva venire a prenderli, ed è venuto a prenderli col Gian e il Marce, e io sono sceso a darglieli e avevo la tuta e le ciabatte. Fabio mi ha preso in giro durante un mese: “Ma perché avevi la ciabatte?”. Erano le due del pomeriggio, tipo, e avevo ancora le ciabatte.
G – ...
D – E invece il Marce mi aveva chiesto un'altra cosa, mi aveva chiesto che parlassi dei miei rapporti sessuali.
G – Lasciamo perdere, dai.
D – Non se può parlare de 'ste cose.
G – Cioè, se ne parlerà.
D – Se ne parlerà in futuro, sì.

mercoledì 2 luglio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #3/3. La spiazzante barzelletta di Rodrigo Pellizzari.

Incontro del 16 Giugno 2008. Ore 16.00.
Chiudiamo i conti col cileno.

G – Ma poi che barzelletta ha tirato fuori Rodrigo?
D – Ma non lo so dai, lui non riusciva a dire... cioè continuava a dire che c'era una persona che faceva “prrr” (pernacchia), e questa persona qua, nella sua testa, voleva dire che era una persona che aveva tanti soldi, ma non se capiva se erano soldi suoi o soldi che gestiva. E poi faceva dei giri mentali... Cioè io ho capito che voleva parlare di una persona che lavorava al fondo monetario internazionale...
G – (ridendo) Chissà come ha fatto a venir fuori “fondo monetario internazionale” da un cileno strafatto e da un argentino che gli andava dietro... “Fondo monetario internazionale”, hai detto. E l'altro, “sì, sì”. Ma “sì, sì” de che?
D – (ridendo) Allora c'era questo del fondo monetario internazionale, e c'era il Papa dall'altra parte. Cioè, due fonti di potere assoluto dentro la barzelletta, cioè, non lo so, un confronto tra titani, tra il Papa, che parla dello spirito della persona, e il presidente del fondo monetario internazionale, che è la concretezza assoluta. E praticamente si trovavano in un posto che non si è mai capito quale... in teoria era l'Argentina...
G – Te pareva...
D – O il Cile, non lo so, parlava di un paese così, insomma. E se incontravano... e c'era il presidente di questo paese che doveva incontrarli, e doveva capire chi invitare prima.
G – Che casino.
D – Allora, dai, c'era il presidente de questa nazione che doveva confrontarsi con il capo del fondo monetario internazionale e il Papa, e c'erano queste due figure fuori dal suo ufficio. Lui era dentro e doveva capire chi far passare per primo, cioè se parlare col Papa o con quell'altro. E praticamente, non so, lui si è spacciato con una roba che non si è capita di cui noi abbiamo dedotto due correnti di pensiero, ecco. Cioè, c'era la prima che faceva passare il Papa perché doveva prima baciargli l'anello, cioè, voglio dire, fare un patto col Papa è fare un patto col diavolo.
G – Ma che barzelletta è?
D – Eh, non lo so, però te fa pensare. Bacia l'anello del Papa e allora fa un patto col diavolo col Papa.
G – E la seconda corrente di pensiero?
D – Eh, faceva passare quell'altro, quello del fondo monetario internazionale, e anche lì fa un patto col diavolo, perché prima i soldi, dopo il resto. Cioè era...
G – Ma che cazzo di barzelletta è? E come cazzo l'hai capita?
D – Nessuno l'ha capita, e siccome non l'ho capita, ho tentato di interpretarla.

giovedì 26 giugno 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #3/2. "I cileni sono una razza che dal continente sudamericano deve venire sicuramente bandita".

Incontro del 16 Giugno 2008. Ore 16.00.
La pazza serata con Rodrigo Pellizzari e un po' di geopolitica.

D – Comunque, spazzando questo discorso, dopo la sera si è svolta in una maniera particolarissima. Allora, siamo andati a prenderti e siamo andati alle Piere a bere qualcosa. E quando c'eravamo finalmente seduti col cocktail in mano si è avvicinato...
G – Sì, c'ero anch'io, adesso non tenerla troppo lunga.
D – Si è avvicinato questo tipo.
G – Tuo amico.
D – No, no.
G – Beh, insomma.
D – No.
G – Come si chiamava?
D – Si chiamava Rodrigo Pellizzari. Insomma, un cognome che non è per niente italiano.
G – Non è vero.
D – Va be', però lui non andava d'accordo con gli italiani. Cioè, non so, ha ribadito più volte il fatto di essere sudamericano.
G – Tu ti sei subito seduto vicino a lui.
D – No, mi hanno obbligato, mi hanno costretto, il Marce mi ha detto: “No, adesso facciamo cambio di posto”.
G – No, sei stato tu a volerti sedere vicino a lui.
D – No, dai, siete stati voi a spingermi perché volevate che parlassimo in spagnolo.
G – Non era per quello.
D – (su di giri) Perché bisognava chiedere se era vero, come avevo detto la sera precedente a quella, che la Danimarca in spagnolo se dicesse la Dinamarca. Nessuno mi ha mai creduto, ma è la verità.
G – Comunque, Daniel, vi baciavate, tu e il cileno.
D – No, era lui che mi baciava.
G – Anche tu una volta l'hai baciato. La mano, gli hai baciato la mano.
D – No, lui mi ha baciato la mano.
G – Tu gli hai baciato la mano.
D – No, io no. È stato lui a baciarmi la mano (scosso), basta, e non l'ha baciata soltanto a me, l'ha baciata anche ad altre persone. A Cappiotti le ha baciato la mano, le ha chiesto quattro cicche, e le ha dato un abbraccio dopo. Poi lui non sapeva cosa fare.
G – Dai, Daniel, adesso devi spiegare a tutti perché ce l'hai così tanto con i cileni. Cosa ti hanno fatto i cileni?
D – Allora, i cileni sono una razza che veramente, secondo me, dal continente sudamericano deve venire sicuramente bandita.
G – Addirittura.
D – E beh, dai, i cileni si sono comportati di merda con tutto il resto del Sudamerica durante gli anni, soprattutto con l'Argentina.
G – Non avevo dubbi.
D – Nella guerra delle Falkland loro gli prestavano le loro piste aeree agli inglesi.
G – (risate)
D – Ma perché? Noi facciamo la guerra agli inglesi, voi dovete essere fratelli sudamericani, siamo paesi lì, sul confine, ci dividono solo le Ande. Cioè non potete... In quell'epoca c'era quel testa di cazzo di Pinochet che stava preso bene con la Thatcher, e facevano questi accordi, cioè loro prestavano le loro strutture militari agli inglesi per far la guerra contro l'Argentina. Poi io ho conosciuto dei cileni che veramente sono persone fantastiche, soprattutto a livello artistico. Hanno avuto degli scrittori come Pablo Neruda...
G – Sì, va be', ieri sera non parlavi dei cileni proprio in questi termini. Appena il Pellizzari si è alzato hai iniziato ad insultarli con una cattiveria impressionante.
D – Va be', ieri sera ovviamente che era tutto riportato a un livello molto più astratto come cosa, più viscerale. Ovviamente ci sono degli aspetti dei cileni che mi piacciono.
G – Stai recitando adesso.
D – No, no, non sto recitando, sto tentando di sviluppare un'idea.
G – Io so qual è stata la cosa che ti ha fatto più incazzare ieri.
D – Quale?
G – La classifica dei paesi sudamericani.
D – No, beh, la classifica è stato l'inizio della fine. Cioè, io già venivo carburando con questa mia idea, poi alla fine lui si è spacciato con questa lista di paesi sudamericani in cui, cioè, ci ha piazzato a posti che, secondo me, non li meritiamo assolutamente e...
G – Dai, com'era 'sta classifica?
D – Ma era... beh ovviamente com'è la classifica? Ovviamente lui si mette in testa, lui, cileno, è il primo della classe. Poi al secondo posto ha messo il Messico, che io posso anche condividere, poi il Brasile, e poi si è spacciato dicendo che il quarto, prima dell'Argentina, o prima, non so, di Cuba, per dirti... cioè ha messo il Venezuela, e lì...
G – Non ci hai più visto.
D – Non ci ho più visto, insomma. Secondo me i primi della classe sono i cubani in assoluto.
G – Anche lui ha messo i cubani.
D – No, i cubani li ho detti io, e lui non li ha neanche nominati, e già capisci tante cose. Loro non riescono a tollerare questa amicizia grandissima tra l'Argentina e il Cuba, questa fraternità che c'è, insomma. Loro non riescono a digerirla. Io metto in primo piano ovviamente i cubani, perché per me i cubani sono specialissimi. In secondo luogo metto o il Brasile o l'Argentina, tipo, sullo stesso piano. E poi ne metto altri, insomma.
G – E il Cile è all'ultimo posto nella tua classifica?
D – Sì, assolutamente.
G – (risate) Ascoltami, per giustificare tutto questo rancore dovresti raccontare la vicenda del lago Argentino.
D – Lago Argentino, il nome proprio te lo dice, lago Argentino, vuol dire che è nostro, cioè, si chiama così. Loro si sono inventati questa storia che un pezzo di quel lago doveva essere loro, anzi, si son proposti con tutto il lago.
G – Ah, i cileni volevano tutto il lago Argentino? Non ci credo.
D – No, no, te lo giuro, c'è della documentazione, puoi andare a vedere se vuoi, anzi, se trovo qualcosa lo metto sul blog.
G – Allora, prometti di mettere sul blog...
D – No, vedo se riesco a reperire del materiale, se lo reperisco lo metto.
G – Sì, riguardante...
D – Che loro volevano il lago intero.
G – Ok, ok, ci sto.
D – Che difatti io adesso sinceramente non ricordo se è diventato proprio loro. Forse è diventato perfino tutto loro.
G – Hai detto ieri che ora è tutto vostro.
D – Forse l'abbiamo riscattato.
G – Sì, va be', a questo punto mi vien da pensare che sia un lago di merda.
D – No, no, è un lago importante per la popolazione, cioè, c'è tanto da andare a prendere, e loro volevano tutto il lago. Dopo, un pezzo, solo un pezzo, una specie di Striscia di Gaza.
G – (risatissime)
D – Beh, abbiamo pattuito un pezzo a loro, che era diviso da una rete, e questi bastardi mandavano della gente sott'acqua a spostare i confini più in là. E doveva venire ogni volta la polizia a prelevare questa gente e a mettere a posto i confini. Se spostavano i confini, te rendi conto? Se prendevano ogni volta più largo. Sott'acqua se spostavano le reti dei confini.
G – No, dai, non è possibile.
D – Ma te lo giuro, io prometto di reperire il materiale. Perché in famiglia avevo una persona che era dell'esercito e me raccontava queste cose. È il marito di mia cugina, è meccanico aeronautico e lavora con gli aerei della forza aerea argentina.
G – Però non sai com'è finita.
D – Alla fine c'era una sentenza che diceva in modo esplicito che il lago era argentino, cioè era nostro, era territorio totale dell'Argentina. Poi alla fine non so se c'è stata un'altra sentenza. È per quello che voglio andare a documentarmi un attimo.
G – Anche per curiosità?
D – Sì, sì, sicuramente.
G – Ma anche perché hai fatto una promessa ai lettori.
D – Ho detto che, se reperisco il materiale, per chi è disposto, in qualche maniera tenterò di allungarlo.

lunedì 16 giugno 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #3/1. Un omaggio ai Farabrutto, un brindisi a Veronica Marchi.

Incontro del 16 Giugno 2008. Ore 16.00.
La pazza serata con Rodrigo Pellizzari. Prologo.

D – Eccoci qua, eccoci qua.
G – È sempre emozionante, anche se è la terza volta, l'emozione è sempre la stessa.
D – Eh, c'è sempre un fascino particolarissimo, te ricorda un po' come quella canzone dei Farabrutto, no?
G – Quale?
D – Quando lui... si ferma così con la chitarra (facendo il gesto della stoppata di corde) e fa: “Eccoci qua, eccoci qua”, e dopo partono e... una botta di vita. C'è Sbibu come un pazzo.
G - ...
D – Eccoci qua, eccoci qua.
G – Raccontami di ieri sera, dai.
D – Beh, ieri sera abbiamo toccato proprio degli altissimi livelli, come gli highlights dopo le partite, in cui se racconta il meglio. Eh, ieri sera è stata una sera pazzissima innanzitutto perché sian partiti con la partita e con tutto quello che ciò significava. Io sono arrivato in condizioni... cioè dovevo farmi prendere da mio fratello, e dopo a un certo punto stavo parlando con il mio capo sulla macchinetta del caffè e gli ho proposto di fare una mezz'ora in più a mezzogiorno per poter andare alle cinque e mezza piuttosto delle sei. Allora lui mi ha risposto: “Eh, va ben, se te ghè passion”.
G – (risate)
D – “Una volta l'ano mi no mi arabio mia”. Eh... E un mio collega doveva andare a vedere la partita a Lugagnano, allora io mi ci son fiondato e ho detto: “Grandissimo Roby, io vengo con te. Devo trovare i butei per la partita”. E sono arrivato alle sei e uno, che dovevano ancora fischiare e c'era l'inno d'Italia. No, fratelli d'Italia. Eh, il gol di Panucci, urlare fino alla morte quando Buffon ci ha tenuti ancora col sogno in gola... abbiam mangiato la pizza, anzi gli hamburger. E Cappiotti ha proposto di andare a vedere Veronica Marchi.
G – Dove?
D – Son andado al Maramao. Ci siam fiondati subito, saliti in macchina, partiti a splendidi, e arrivare là...
G – Sempre con i Mariposh?
D – No, suonava da sola. E, arrivati, c'era pochissima gente e lei faceva una rassegna di Jeff Buckley, cantava le sue canzoni. Oh, bravissima per carità, però non era il momento adatto.
G – Tieni comunque presente che poi potrebbe leggere anche Veronica Marchi il nostro blog.
D – No, non era il momento adatto per la serata, insomma...
G – Cioè, lei ti è piaciuta.
D – Mi è piaciuta tantissimo, tantissimo, a me Veronica Marchi piace.
G – (ovviamente ammicco)
D – No, no, piano, piano. Guarda che è una tra le quattro, cinque donne più rocker di verona. È una ragazza rock&roll, è presente quando lo deve essere.
G – Speri che legga queste cose? Dimmi la verità.
D – E... forse le giunge voce e... mi piacerebbe che lei ci desse il suo punto di vista.
G – Ma no, dai, cosa te ne frega. Che sapesse di avere un grande ammiratore in più.
D – Sì, sì, sicuramente.
G – Ti piace Veronica Marchi?
D – ...
G – Ti piace, dai (sempre alludendo).
D – Sa fare bene quel che fa. Comunque...
G – Vacca boia (risate).
D – (risate) Magari questa spezziamola.
G – Come?
D – La spezziamo, la facciamo un po' più romantica.

lunedì 9 giugno 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #2/2. La fantastica storia di coco pollo.

Incontro del 26 Maggio 2008.
Il gran finale.

G – Allora, Daniel, vuoi raccontare una volta per tutte la vera storia di coco pollo?
D – Allora, la vera penso che sia sempre stata raccontata, ovviamente che, a seconda di come era stata intonata la serata, diventava più o meno colorita come storia. Sinceramente ho preso un po' di paura l'ultima volta che l'ho raccontata perché c'è stata una persona che per prima volta si è manifestata dicendo che questa storia apparteneva al mio bagaglio e non a un'altra persona.
G – Ah, cazzo, io non ci avevo mai pensato a questa cosa.
D – Sinceramente io ci sono rimasto molto male perché non mi aspettavo sinceramente un commento così da parte di una persona che ritenevo dicesse le cose in un'altra maniera. Comunque, al di là di questo, questa sarebbe una storia autobiografica, invece non lo è, però qualcuno ci ha creduto a questa cosa. Io son stato reticente a raccontarla...
G – Quando?
D – Beh, spesso, in questo momento qua sinceramente non ne ho voglia. Cioè, secondo me, se la racconto, il sito perde un po' di credibilità.
G – Perché?
D – Non so, perché secondo me guasta un po' con quello che era lo stile un attimo messo in chiaro finora.
G – Beh, insomma, è una vicenda che ti riguarda, una storia simpatica. Non mi pare una cosa così fuori luogo.
D – Non so, non so...
G – Non hai voglia di raccontarla, basta.
D – Non so, oggi forse no, magari un altro giorno.
G – Va be', sarà per un'altra volta. Chiedi scusa almeno.
T [ Tommaso Venturelli – Graphic Consulting – www.tommasoventurelli.com ] – Perché deve chiedere scusa?
G – Perché deve chiedere scusa. C'è tanta gente che mi chiede la storia di coco pollo e a lui non costerebbe niente raccontarla una volta per tutte e...
T – No, se lui non vuole, non vuole.
D – Ma chi è che te chiede? (ridendo)
G – Tanta gente.
D – Cioè fammi...
G – I nomi? Ti pare il caso?
D – No, no, dicevo così, vagamente...
G – Va be', basta. Peccato comunque, è una storia fantastica.
D – (risate)
G – Non vedo perché tu non debba raccontarla, comunque basta dai, finiamola qui.
D – Allora, dai, la raccontiamo però...
G – No, lascia perdere.
D – No, adesso la raccontiamo proprio nella maniera che hai detto te: fantastica.
G – Perché?
D – Perché deve essere capita in questo punto de vista, come una storia fantastica. Sicuramente, sicuramente è una roba che, mi auguro almeno, penso difficilmente capiterà al novanta per cento delle persone, e...
G – Va bon, dai, diamoci un taglio, Daniel. Forza, la storia di coco pollo in versione fantastica.
D – Molto bene. L'inizio è questo, è molto semplice. Io mi ritrovavo ancora in Argentina, parlo di una decina di anni fa, nove, otto, son stato invitato a una festa, poco tempo dopo che ero tornato da Buenos Aires a Cordoba...
T – Cordoba non è in Spagna?
D – Sì, beh, la nostra si chiama Cordoba proprio in memoria di quell'altra.
T – Ah.
D – Praticamente la storia è che io vado a questa festa di cui conoscevo soltanto il festeggiato e il mio migliore amico e, parlando con persone, così, divertendoci, abbiamo incontrato un ragazzo che è arrivato lì e che ci ha salutato, e i miei amici in una sorta di battuta attaccata al saluto dicevano, praticamente prendendolo un po' in giro, “grande coco pollo”, “hai fatto la tua papera”, insomma. Praticamente questo ragazzo qua io non lo conoscevo, non capivo le battute e in quel momento sono rimasto un po' perplesso. Dopo un po' di tempo ho chiesto al mio migliore amico...
G – Che era Felipe?
D – Che era Felipe, che è Felipe.
G – (applausi)
D – E niente, lui mi ha spiegato che praticamente a questo personaggio lo chiamavano così perché aveva avuto una storia abbastanza divertente da raccontare. Allora lui mi spiegava che questo ragazzo era andato a pranzo con una ragazza che conosceva da poco, e questa ragazza a metà del pranzo ha mollato il tipo perché avevano discusso. Lui, nell'amarezza più grande, se n'è andato dal ristorante ed è andato in un bar a rifarsi la serata a forza di birre. Nel frattempo in questo bar conosce un'altra tipa e nel giro di poco tempo riesce a intortarla, insomma, se dà da fare alla grande e porta a casa il risultato, ecco. Allora invita questa ragazza a mangiare il pollo in questo posto che si chiama “coco pollo”, che è un posto a Cordoba in cui fanno il pollo molto buono, e vanno a mangiare lì. Incominciano a bere un po' troppo finché stanno abbastanza male. Lasciano questo ristorante e stavano per andare a bere qualcosa, ma lui praticamente invita lei a casa sua e lei accede.
G – Accede?
D – Accede. Quindi vanno a casa sua e cominciano a fare le loro cose sul divano finché a un certo punto capiscono la situazione e vanno al dunque, ecco. Andando al dunque, lui se tira giù i pantaloni e prega lei di fare il suo dovere. Lei, messa un po' alle strette, accede. Per seconda volta. Andando avanti coi preliminari, praticamente lei ha un momento in cui non se sente tanto bene, perché aveva bevuto un bel po' prima, e, in una maniera abbastanza tragica, riesce a vomitare tutto quello che ha mangiato nel momento dell'atto sessuale. A questo punto il nostro amico se ritrova come un motorino ingolfato e capisce che è finita qua, insomma. Quindi si leva lei di torno, la porta in bagno, la lava, si lava anche lui, mette questa ragazza sul divano a dormire, lui va in camera sua e pensa che eventualmente il giorno dopo chiariranno i conti. Lui va a dormire, poi si alza e a un certo punto, cioè appena alzato al mattino, gli viene questa voglia matta, che viene a ognuno di noi uomini, di andare a fare la prima pisciata. Lui si dirige verso il bagno, si tira giù i pantaloni e a un certo punto fa quel solito movimento che facciamo noi uomini, che è de scappellare per pisciare, e se ritrova sul glande un pezzo di pollo.
T – (grassissime risate)
D – E da lì se capiscono tante cose.

giovedì 29 maggio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #2/1. Mora for dummies. Tre tentativi.


Incontro del 26 Maggio 2008. Soliti divanetti.
10 minuti di lucidità mentale.

G – Allora, hai un minuto di tempo per spiegare il gioco della mora a una persona che non ne sa nulla. Ci siamo?
D – ...
G – Quattro secondi, tre, due, uno, forza.
D – Allora, la mora è un gioco celebrale innanzitutto, perché c'è la coordinazione del movimento e la capacità, la lucidità mentale de decidere in una frazione de secondo. È un gioco che non tutte le persone sono adatte, perché va legato a un certo tipo di perspettiva, ed è una cosa estremamente divertente, soprattutto se uno la gioca con una persona che è allo stesso livello, pressapoco, o magari più alto. È un gioco che ti agilizza tantissimo el cervello.
G – Mancano dieci secondi, e non hai ancora detto nulla.
D – La mora è un gioco bellissimo, è vecchissimo, è stato vietato e... giocatelo, perché è bellissimo.
G – Fine. Una tragedia Daniel, non hai spiegato neanche una regola.
D – Ma dai, ho parlato di tante cose che...
G – Daniel, la gente vuole giocare a mora, e non sa come si fa. Spiega le regole.
D – Basta che una persona pensa che deve avere lucidità mentale e controllo del movimento.
G – Stai scherzando? Prima spieghi le regole, poi, se ti avanza tempo, parli della lucidità mentale. Ok?
D – Ah, ok.
G – Due secondi, uno.
D – La mora è un gioco che se manifesta con una grande capacità mentale e si gioca con le dita. Bisogna muovere le dita, pensando nel movimento che uno fa, e tentare di imbroccare la giocata in una sorta de lotteria con un avversario che fa la stessa cosa, in cui tu in una frazione di secondo devi riuscire a fregare la sua lucidità, sapere cosa metterà, tu mettere di conseguenza un numero che correlato all'altro te dia un risultato, e questo risultato determina il vincitore della manche. Si gioca, a nostro stile, a sette punti, in cui la mora è il numero sette, e non si può dire sette perché uno viene ammonito altrimenti, e poi è composta dal resto dei numeri che vanno dallo zero al dieci. Bisogna azzeccare il numero che capiterà nell'articolazione delle due mani.
G – (grasse risate) Grandissimo, un capolavoro.
D – (risate)
G – Ma non hai neanche accennato al fatto che il numero si deve chiamare.
D – Ma sì (sospira), non l'ho detto perché son sempre convinto che più gente conosca la mora. Me sembrava una cosa talmente...
G – La mia consegna non era chiara, in effetti.
D – No, no, era chiarissima, però...
G – Facciamo un altro tentativo?
D – No, no.
G – L'ultimo?
D – No.
G – Mi spiace, il minuto parte adesso.
D – Allora, la mora...
G – Concentrati.
D – ...è un gioco che consiste basicamente in chiamare un numero che viene segnato col movimento delle dita. Allora questo numero, ovviamente, non deve pensarlo uno soltanto come il numero che segnerò, ma anche pensando nella somma ipotetica del risultato che darà l'altro movimento de dita dell'avversario. Se uno riesce a trovare el risultato giusto... un esempio può essere io che metto cinque, l'avversario che mette tre, e io dico otto, allora vuol dire che ho azzardato una somma che è andata a buon fine. Basicamente consiste in questo, poi il resto è tutto quello che ho colorato prima.

lunedì 19 maggio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #1/2. Crespo, le sbornie, la poesia.

Parte 2. Ore 20.00 – 20.43.

Argomenti di riflessione
1- I nonni ci insegnano a bere.
2- Crespo, il bomber, l'uomo.
3- Essere una riserva titolare.
4- Solo il trequartista ci aiuta a comprendere la saudade.

G – Sei un buon bevitore, è merito del nord-est o ci hai sempre dato dentro?
D – A dire il vero, ci ho dato dentro sì, quasi sempre. Ci sono stati periodi in cui l'ho fatto un po' meno, ci sono stati periodi in cui ho fatto abuso di altre cose (ride), però al di là di questo, sì, insomma, diciamo che, per quanto riguarda la famiglia, il mio bagaglio familiare, non ho avuto in famiglia grandi bevitori. Me ricordo più che altro el mio nonno materno che lui sì, aveva una vera cultura. Gli piaceva tantissimo, se ne intendeva. Era una persona che veniva da una famiglia in cui il fatto di bere era un qualcosa di molto comune, diciamo. Poi da parte dei miei amici, Felipe, quello che hai conosciuto, il mio migliore amico...
G – Dai, Felipe non beve tanto.
D – Felipe adesso è abbastanza controllato, perché sta insieme alla sua ragazza, lui è così, non fa le stesse cose che quando uscivamo all'epoca. Quando esce con i suoi amici è anche lui uno che si dà abbastanza da fare. Io da parte sua ho preso un po' questa cultura perché suo nonno era irlandese e già fin da piccoli ci faceva bere qualcosina di whisky, qualche cocktail che preparava lui. La prima sbronza è stata in mani sue, ci ha fatto bere una cosa che si chiama Celtic Crossing, che è praticamente del whisky che viene mischiato con delle erbe e... la consistenza è quella del whisky, però ha un sapore molto più dolciastro, quindi uno ci prende gusto e nel giro di due bicchieri... dilaga, però con molto piacere, ecco. È un qualcosa che ho ritrovato in qualche bar, in questi anni qui, e se la trovo la bevo, perché è una cosa che tutt'oggi mi piace tantissimo. Non so, ho cominciato un po' con quello. Poi anche in Argentina abbiamo una discreta cultura per quanto riguarda i vini, soprattutto rossi. Una particolarità di avere dei vini rossi molto buoni...
G – Sì, mai più buoni dei nostri.
D – No, quello no, però ci sono anche certi tipi di vino che forse non ho ancora assaggiato, o qualcuno sì... So che sono anche valutati bene, anche a livello mondiale, ecco. È ovviamente che il vino è qualcosa che va anche legato con quello che mangi, e anche al territorio... Comunque, nel mio periodo punkettone soprattutto, in quel periodo lì, ho cominciato a bere tanto.
G – Allora Daniel, cambiamo discorso, sai chi ho visto in tv oggi? Ho visto il tuo Crespo, un'intervista su sky.
D – Crespo è...
G – Aspetta, ha detto che un giorno vorrebbe tornare a giocare nel River.
D – Sarebbe un qualcosa che mi piacerebbe tantissimo (ride, quasi commosso). Spero sia l'anno prossimo (trattenendo le lacrime). È un giocatore che a me è sempre piaciuto in modo particolare.
G – Parla come te, vecchio.
D – Crespo è una persona di cui io... è uno di quei calciatori argentini forse... non so se l'unico, perché ci son stati anche altri che... però io in lui ritrovo, al di là delle sue capacità calcistiche che...
G – ...sono limitate.
D – Beh, io penso che sia stato un eccelso bomber ovunque abbia giocato. Nonostante questo apprezzo tantissimo in lui, innanzitutto come persona, perché come dici te è una persona molto umana, una persona che è molto passionale, ma allo stesso tempo è anche una persona che si sa adattare, che ha ben capito qual è questo momento dell'Inter. È stato un giocatore che non ha mai fatto polemiche, e stiamo parlando di un giocatore che è stato scarpa d'oro...
G – Quando?
D – Con la Lazio. È stata forse la sua miglior stagione, segnava... dappertutto.
G – Ti si illuminano gli occhi.
D – Eh, Crespo è una persona che a me... non lo so, ha quella capacità di essere un calciatore e una persona sullo stesso piano splendida, e poi la cosa che mi piace di più di lui è che è una persona che, nel primo giorno che ha cominciato a giocare, ha sempre lavorato per costruirse la carriera. Ha fatto tutta la scuola calcio in River, ha sempre giocato nel River, si è costruito come giocatore, come persona. Dopo col River è stato il capocannoniere che dopo tantissimi anni, dopo dieci anni, ha fatto rivincere al River la coppa Libertadores. È stato il bomber della coppa, segnava dovunque, era una bestia, non c'era verso, non c'era maniera di fermarlo. E dopo è venuto qui in Italia con umiltà e si è costruito una carriera splendida, perché lui, in tutti i club dove ha giocato, non è mai stato contestato, ha sempre fatto una figura più che degna, e lui ha avuto la possibilità di giocare nell'Inter e nel Milan, e se lui gioca un derby contro o a favore di uno, comunque viene applaudito da tutto lo stadio. Questa è una cosa molto importante, cioè ha lasciato un bellissimo segno dovunque c'è stato.
G – Ha detto che adesso il suo sogno è quello di giocare i mondiali in Sudafrica. Sa che è un'impresa impossibile, ma...
D – Però io mi auguro che lui possa farlo.
G – Dai, non ce la farà mai, Daniel.
D – Ma io sinceramente penso che una persona così, difficilmente tu puoi lasciarla fuori dal gruppo. Perché anche se non la fai giocare, è una persona che dentro al gruppo è importantissima. Tu pensa a uno come Balotelli. L'altro giorno è stato fischiatissimo da tutti. La prima persona che è stata ad avvicinarsi a lui, quando si è seduto in panchina, è stato Crespo, subito. Questa è una cosa molto importante dentro a un gruppo. Quando hai una persona così, io penso che, anche se lui non gioca, deve essere portato dentro la rosa.
G – Tra due anni quanti anni avrà Crespo? 36?
D – Crespo oggi, entrando, con meno allenamento, con meno partite sulle gambe, è una persona che se tu, di fianco, le metti una persona che le costruisce un attimino il gioco, lui è ancora in grado de fare la differenza.
G – Non mi ha mai particolarmente stupito come giocatore.
D – Non è spettacolare, però è un giocatore che quello che sa fare lo fa molto, molto bene. Molto bene. Ovviamente ci sono stati altri, non so, per citare il caso anche di Batistuta, per dire.
G – Vacca boia.
D – Eh, anche di lui... cioè Batistuta da parte mia è stato forse un po' meno gradito di Crespo, perché... beh, Crespo viene dal River, che è il mio club, e quindi ovviamente che uno ci tiene di più.
G – Dove giocava Batistuta in Argentina?
D – Batistuta ha fatto un anno nel River, ma non giocava praticamente. Dopo è andato al Boca.
G – Ah, cazzo, ora capisco.
D – E lì è diventato il giocatore che poi è stato venduto alla Fiorentina e... comunque io cioè non ho assolutamente rancore per Batistuta, difatti anche a me Batistuta piaceva da morire, però cioè ovviamente questo suo percorso, che è stato diverso da quello di Crespo, non è che per me sia stato meno... cioè che io sia stato più reticente su Batistuta, però lo vedevo con altri occhi, ecco. Comunque è un giocatore che veramente... Batistuta era un'altra bestia. Poi Batistuta ha avuto la possibilità di avere moltissima continuità nello stesso club e quindi anche questo ti permette di avere una carriera diversa, come quella che ha avuto Del Piero nella Juve, oppure come quella di Raul nel Real, e così via, potrei citare tantissimi. Il caso di Crespo è stato un po' diverso, comunque Batistuta è stato un giocatore che a me piaceva da morire. Possiamo parlare, ancora andando più indietro, anche di Balbo, sempre per citare altri attaccanti. Poi, ovviamente, ci sono altri giocatori che a me...
G – Ma Balbo dove giocava in Argentina?
D – Balbo in Argentina ha giocato nel Newell's, che è una squadra di Rosario, tra le cinque sei società più grandi del calcio argentino, ed è stata una delle società che ha cimentato più giocatori. Lo stesso Batistuta... no, Batistuta non è uscito dal Newell's, ma ci sono stati tanti giocatori che sono venuti fuori del Newell's Old Boys. Tantissimi, tantissimi.
G – E Balbo era...
D – Balbo era una punta un po' come Chiesa, no? Cioè quelle punte che... A volte poteva diventare anche una seconda punta, però era un bellissimo giocatore, sempre parlando de attaccanti, ovviamente. Poi, non so, un altro giocatore che per me è sempre stato un pallino è il Ciolo Simeone. Per me è una bandiera.
G – Un picchiatore.
D – Eh, però era un giocatore importantissimo.
G – Giocava nel River?
D – No, lui è venuto fuori dal Vélez Sársfield, che è un'altra società importante del calcio argentino. È un'altra bella squadra, in un certo periodo ha tirato fuori tanti giocatori molto importanti, forti... Ha vinto diversi campionati, quindi... Va be' Simeone, dopo, non so, difensori ce ne son diversi che ne han tirati fuori... persino Ayala, che continua a giocare anche avendo quasi quarant'anni.
G – Non ci credo.
D – Penso che quest'anno giocava come riserva titolare del Villarreal. È un altro giocatore che anche per me è stato un pallino, ha fatto storia, in nazionale e anche nei club, insomma, giocava nel Milan... ha giocato dovunque bene. E poi Milan, possiamo parlare di Milan. Mi piaceva tantissimo Ortega, che adesso è ritornato nel River, va be', qui in Italia non è mai riuscito a esplodere però...
G – Quell'anno a Parma non aveva fatto così cagare.
D – No, neanche quello alla Sampdoria, non ha fatto neanche male lì.
G – Vedi cosa succede ai fantasisti argentini? Il bomber si adatta sempre...
D – Il bomber, o il difensore, e forse anche certi centrocampisti riescono ad adattarsi. I fantasisti, i trequartisti argentini, in genere sono pochi quelli che riescono...
G – Sì, non solo gli argentini, i trequartisti in genere qui in Italia si cagano addosso, abbiamo dei difensori con i controcoglioni, non puoi star fuori dall'area a cincischiare.
D – Eh, siete gli inventori del catenaccio (ironico). Beh, vedi, quella è una delle cose che, tornando ai primi discorsi che abbiamo fatto prima, è una delle cose anche che me manca dell'Argentina, quella figura del fantasista, del trequartista, che da noi... noi abbiamo una visione del calcio – e non parlo soltanto degli argentini, parlo del Sudamerica in genere – abbiamo la visione del gioco innanzitutto da quello che rappresenta il trequartista, il fantasista, quel giocatore lì. Dopo el resto della squadra. Però è sempre quel giocatore lì, quello che porta il 10, no? Cioè, ha sempre quel fascino, è quello che te dà il qualcosa in più, quello che, quando la partita non riesci ad aprirla, lui con una sua cosa, o mette in gol a qualcuno, oppure tira fuori una punizione, o qualcosa del genere. Noi vediamo il calcio un po' in quella maniera lì, è per quello che io impazzisco a volte quando vedo certi giocatori che magari qua piacciono un po' meno. Per citare, adesso, quando parliamo di Lavezzi... giocatore che giocando di seconda punta, sì, ha un ruolo, ha un qualcosa di importante per la squadra, ma io ce lo vedrei un po' più come trequartista, no? Non so, io son dell'idea, così, non so. Pensando, l'altro giorno, io pensavo che se la Roma, oggi, come squadra, prendesse Lavezzi, per metterlo di fianco o in assenza di Totti, è un giocatore che alla Roma, oggi, può dar tantissimo, per il suo stile di gioco, no? Perché combacia abbastanza con quello che fanno gli altri. Invece nel Napoli è un po' condizionato perché ha pochi che stanno dietro coi piedi buoni, no? Forse l'unico. Però io impazzisco per questi tipi di giocatore. È per quello che quando vedo Kaka che, essendo un trequartista un po' atipico, perché riesce ad arrivare più al gol, perché ha più corsa, comunque è un giocatore che a me fa morire, come Riquelme, per dirti un altro, Aimar.
G – Basta, sono le 20.43, tra due minuti comincia la partita. Ma prima chiudiamo il cerchio. Tornando alla domanda d'inizio, cosa ti manca di più dell'Argentina?
D – (sospira)
G – Non deludermi.
D – La fantasia calcistica.
(grasse risate)

mercoledì 14 maggio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #1/1

Incontro n° 1.
Registrazione del 29 Aprile 2008, sui divanetti dell'Emporio.

Parte 1. Ore 19.20 – 20.00.

Argomenti di riflessione
1 – Definire saudade è impossibile, ma non ci si deve arrendere, mai.
2 – Il dialetto riduce le distanze.
3 – Essere un cercavite: prendere la vita per i coglioni.
4 – Punk e coscienza politica.
5 – L'illusione d'amare in età adolescenziale.
6 – Razionalità e bestialità: un equilibrio possibile.

G – Allora Daniel, hai idea del perché siamo qui?
D – Credo proprio di sì, però...
G – Addirittura, io non ne ho idea.
D – No, io ne ho una molto leggera, però non so se andrà per quel verso, comunque.
G – Quale sarebbe quest'idea?
D – Quest'idea è di fare innanzitutto qualcosa di cui se ne parla da un po'. L'inizio e la fine di un percorso. L'inizio perché è un qualcosa di nuovo quel che facciamo, la fine perché è la conclusione di qualcosa che avevamo in mente.
G – Va be', di cosa parliamo, Daniel?
D – Allora, innanzitutto parliamo...
G – Dimmi chi sei, Daniel.
D – Io sono Daniel, e da qua se parte. Sono una persona che nonostante viene da un posto abbastanza lontano da questo e dopo un frammento di vita vissuto qui...
G – Da quanti anni sei qui?
D – Sono qui da quasi sei anni. Quest'estate, il 25 luglio, si compiono sei anni.
G – Quindi, hai vissuto in Argentina fino a?
D – Vent'anni. Dovevo ancora fare i ventuno. Venti anni vissuti là, altri sei, quasi sette, qui. Tornando al discorso di prima, mi ritrovo in una situazione particolare, perché nonostante il posto in cui sono nato, le condizioni di vita su... cioè diciamo, sui binari in cui ho vissuto la mia vita, in questo momento credo di avere attaccato delle belle radici qua, e mi ritrovo in una situazione molto bella, nonostante quello che mi potevo aspettare prima di arrivare. Altrimenti non saremmo qui a fare questo.
G – Certo, ma la nostalgia c'è.
D – Nostalgia c'è. Come dice il nostro amico Filippo c'è un po' di saudade. Però...
G – Cosa vuol dire saudade?
D – È come una specie di nostalgia però che va riferita a un concetto molto più ampio di quello che sarebbe la nostalgia intesa come parola che uno può trovare sul dizionario. Cioè, un qualcosa di molto più... Insomma, è una situazione...
G – In due parole, Daniel, che differenza c'è con la nostra nostalgia? È un sentimento che potete provare solo voi?
D – No, no. La saudade è una parola che si trova soltanto nella lingua portoghese, che è una lingua latina come la nostra. Però questa parola in particolare rappresenta una cosa che in altre lingue non viene rappresentata da nessuna parola specifica, se no da... cioè la saudade è un concetto più che una parola, perché riferisce quello che sarebbe la nostalgia, ma non soltanto delle cose o delle persone. Parla un po' di quello che sarebbe l'intensità della nostalgia, e non ha un riferimento particolare soltanto ai ricordi, ma è legata a un insieme di cose che uno si ritrova nella vita quotidiana. Sinceramente io non vorrei esprimermi tantissimo perché non l'ho studiata.
G – È un qualcosa che senti, e forse saudade è l'unico modo per dirlo.
D – Sì, forse è la parola che sintetizza di più un insieme di cose che fanno un concetto.
G – Giusto. Quindi soffri di saudade, ogni tanto.
D – Sì, si può dire di sì. È una bella cosa comunque.
G – Cosa ti manca di più?
D – Cosa mi manca di più? Una delle cose di cui si può sentire un po' di nostalgia è quello che va legato ai rapporti umani in sé. Noi abbiamo dei concetti un po' diversi, un approccio diverso sulle persone. Che non va legato soltanto ai sentimenti, ma anche al modo in cui ci esprimiamo. Perché parlando una lingua diversa e soprattutto un dialetto – perché in Argentina abbiamo una maniera molto speciale di parlare lo spagnolo – riusciamo a trovare una distanza forse minore nei confronti delle altre persone. È una cosa abbastanza difficile da spiegare.
G – Ti mancano i rapporti sudamericani. L'amicizia sudamericana.
D – No, non solo l'amicizia, parlo anche di rapporti in genere, con la gente in genere.
G – Ti manca la tua gente, il calore della tua gente. Noi siamo più freddi?
D – No, beh, assolutamente. Io sono uno di quelli che... a me non piace giudicare... cioè io penso che le persone siano un mondo a sé, e quindi al di là della cultura che possono aver avuto e delle cose che pensano. Cioè io non sono uno di quelli che dicono: qua in Europa si è più freddi, e in Sudamerica è così. C'è di tutto. Anche là c'è molta gente fredda. È il fatto che comunque il modo di relazionarsi è un po' diverso. È difficile da capire, sono delle cose che soltanto si capiscono quando uno le vive.
G – Certo.
D – Quella diciamo che è una delle cose che me vengono più così lampantemente in mente, se ci penso due secondi. Poi tante altre cose, la famiglia, amici che ho lasciato, attività che avevo.
G – Hai detto che sei arrivato dall'Argentina nel 2002. Cosa facevi là?
D – Per fare una specie di premessa a ciò che dirò dopo, io mi sono sempre considerato quello che noi in Argentina chiamiamo un cercavite. Cioè sono stato una persona molto attiva, con tanti interessi, una certa disponibilità e capacità per affrontare le cose che mi piacevano e soprattutto la passione di andare, almeno quasi sempre, o è quello che ho tentato, fino in fondo. Insomma ho studiato, ho finito la scuola... ho fatto un qualcosa che sarebbe abbastanza simile a quello che è il liceo classico.
G – Addirittura.
D – Sì, sì, ho fatto il liceo ad indirizzo sulle scienze sociali, che son sempre state un po' il mio forte.
G – Sì. Non è proprio il liceo classico.
D – No. Cioè diciamo che come introduzione è stato un po' così, poi ovviamente la scuola là è diversa. Finiti gli studi – io ho finito perfettamente, non ho avuto mai gravi difficoltà nella scuola, salvo con matematica e fisica...
G – Ah, matematica e fisica ti buttavano un po' giù?
D – No, non sono mai riuscito a digerirle fino in fondo, magari approfondendo potrei trovare degli spunti che non pensavo.
G – Beh, insomma, dai, non mi pare il caso.
D – No, dico, qualora succedesse...
G – Ma speriamo di no, dai.
D – No, non me lo auguro nemmeno, però nella vita non se sa mai. Nonostante questo ho fatto la scuola. Poi, finita la scuola, per un anno ho smesso di studiare invece di cominciare l'università subito. Ho fatto un anno in cui ho vissuto sei mesi a Cordoba – che è la mia città – in cui lavoravo. Gli altri sei mesi sono andato a vivere a Buenos Aires, perché ho conosciuto una ragazza che mi ha fatto di aggancio...
G – Ah.
D – Eh, è stato il mio primo amore. Poi non è successo nulla, addirittura questa ragazza è uscita con il mio migliore amico. Però, al di là di questo, questa ragazza mi ha fatto di aggancio per fare uno stage di sei mesi presso la EMI Melograph - che è la compagnia discografica EMI - lavorando nel reparto diritti d'autore. Il mio lavoro consisteva più che altro nel ritrovarmi con diversi musicisti, produttori, e gente che stava nei dintorni dei gruppi. Facevo come una specie di corriere in cui me davano le cose da portare a questi gruppi, dei nastri che avessero registrato, oppure gadget, oppure dei ticket per andare a veder concerti. Ho lavorato sei mesi lì, mi sono ritrovato credo come mai più in vita mia, perché ero con le mani nella pasta su la cosa che mi piace di più, che è la musica.
G – E al tempo eri già un grande conoscitore di musica? Quanti anni avevi? Diciannove?
D – Ho fatto i diciannove lavorando lì.
G – Ed avevi già un approccio internazionale per la musica o eri più legato alla musica della tua terra?
D – Mah, diciamo che prima di cominciare a lavorare lì ero più legato alla musica che un po' avevo ereditato rubando i dischi a mio padre, oppure con Felipe, che ci prendevamo dei dischi. Molta musica vecchia, soprattutto scuola anni settanta, ottanta. I classiconi, con quelli lì che si comincia. Ho avuto anche il mio periodo punkettone, intorno ai 16 anni. Ho cominciato coi Ramones, dopo sono andato dritto sui Rancid. Ascoltavo molti gruppi californiani, hard-core.
G – È stata una piccola parentesi, diciamo.
D – No, io di quel periodo lì ho un ricordo molto bello, io ne vado molto fiero. Perché fino a quel periodo lì io vivevo la musica in una maniera molto... come dire, mi piaceva, l'ascoltavo tantissimo, ma mi mancava l'input, non lo so, nell'atteggiamento magari. Avvicinandomi alla musica punk ho risvegliato un attimo la mia personalità, ho cominciato a vestirmi in una maniera diversa, avevo anche un approccio diverso con le persone che mi stavano intorno. Ero praticamente nel fiore dell'adolescenza e quindi tutte quelle cose che magari anni prima mi piacevano, potevo trarre qualche spunto, qualcosa. In quell'epoca lì le ho sintetizzate proprio in una maniera molto più complessa, completa. Ho cominciato a frequentare gente che faceva quella musica, con cui ho avuto qualche gruppetto, e poi ho cominciato a rispecchiare un po' anche quelle che erano le mie idee, anche politiche. Quindi è stato un po' il risveglio, diciamolo così. Mi sono tirato un attimo fori, ecco, a livello di personalità. Ho cominciato a pormi in una maniera diversa, avevo un atteggiamento molto più duro. Non lo so, magari anni prima frequentavo un po' tutti, invece in quell'epoca cominciavo a frequentare meno persone, ma quelle che avevano più a che vedere con me. Niente, poi, finito quel periodo, ho cominciato a lavorare alla EMI e lì ho cominciato anche a rispettare, capire di più i musicisti argentini, che magari avevo trascurato anni prima. Quindi è stato anche per me una cosa molto importante, il fatto di lavorare lì. Ho cominciato a concepire la musica come qualcosa di meno etichettato, qualcosa di molto più grande, mi piacevano più stili, vedevo più concerti, stavo dietro, vedevo come si comportavano i diversi gruppi. Sono stato invitato anche a diverse feste che facevano questi musicisti. Insomma, ho visto un po' quello che era il dietroscena di quello che prima magari riuscivo a vedere soltanto... cioè immaginandomelo, vedendo qualche programma, ecco.
G – E tutto ciò tramite questa ragazza.
D – Tramite questa ragazza che, come detto prima, è stata il mio primo amore forte. È stato anche molto importante per me, perché dopo quello che è successo con questa ragazza ho cominciato a capire che bisognava concepire le ragazze in una maniera molto più... anche più grande. È stato lo stesso percorso che con la musica, cioè io mi ero innamorato di lei non perché mi piacesse soltanto la sua persona, se no perché lei rispecchiava tante cose che a me piacevano. Cioè lei era così, a me piacevano le donne fatte in quella maniera lì, con quell'atteggiamento. Sicuramente si atteggiava molto di più di quello che era, difatti dopo col tempo l'ho capito.
G – Non dirmi che ti piacciono quelle che si atteggiano più di quello che sono.
D – No, in quell'epoca, 17 anni, uno ha una concezione dell'amore molto più vaga. Era una questione anche più etichettata, a me piacevano magari le ragazze con un fisico come il suo, coi capelli come li aveva lei, che le piacesse la stessa musica che piaceva a me, e cose del genere, ma, nonostante queste piccole cose con cui ritrovavo affinità, a livello personale non ce n'era. E quindi, dopo questa... questo fallimento, diciamolo così, ho capito che bisognava, insomma, avere un rapporto con le donne che andava al di là di queste cose. Dovevo trovare un qualcosa di molto più profondo.
G – E come si chiamava?
D – Barbara. Si chiama, non è ancora morta.
G – La rivedrai?
D – Non lo so, probabilmente sì, perché abita in Spagna e volendo potrei anche, però a questo punto sinceramente non mi cambierebbe nulla.
G – Non ho dubbi.
D – Non mi cambierebbe assolutamente nulla, cioè oggi una persona come lei non mi direbbe nulla. Ecco.
G – Quindi con lei hai capito qual è la differenza tra l'amore e un'infatuazione passeggera.
D – Ho capito che l'amore è un qualcosa di molto più complesso, e che andava approcciato in una maniera diversa.
[Pausa. Si parla della birra che stiamo bevendo, birra da 12 gradi. Il cercavite racconta un aneddoto e poi confessa di essere ancora un po' bloccato per la presenza del registratore. Lo tranquillizzo]
D – Comunque, tornando al punto dove eravamo, insomma dopo questi sei mesi che ho fatto là, a Buenos Aires, sono ritornato a Cordoba e ho cominciato l'università. Nonché a lavorare. A Cordoba ho trovato un lavoretto che mi piaceva. Lavoravo in un panificio, facevo del pane.
G – Ti alzavi prestissimo la mattina?
D – Mi svegliavo presto ma più che altro lavoravo di più il pomeriggio, per fare il pane che andava cotto per l'altro giorno. Impastavo. Era un bel lavoro, nonostante come si pensi, ho un bellissimo ricordo di quel periodo lì.
G – Quanto è durato?
D – Ho fatto un anno e mezzo.
G – E poi sei partito.
D – Sì, dopo qualche mese son partito. Avendo questo lavoro ho cominciato l'università, mi sono iscritto a Storia, studiavo per diventare professore de storia. Facendo altri due anni, piuttosto di diventare professore potevo fare storiografia, che è la scienza che se occupa de fare i libri di storia, che era qualcosa che mi piaceva anche, come idea. Comunque dovevo ancora finire l'università per capire di farlo o meno. Comunque la storia per me è stata sempre la materia di scuola che mi piaceva di più, con la quale avevo una maggiore affinità. Son sempre stato una persona molto curiosa, leggevo tantissimo, adesso un po' meno, adesso mi son fermato. In quel periodo leggevo tantissimo, storia e anche tanti romanzi, anche classici, da partire... non lo so...
G – Il romanzo della tua adolescenza?
D – Eh, ho letto un bel po' di cose anche un po' impegnative per la mia età.
G – Certo, ma il romanzo dei tuoi primi vent'anni?
D – Mah, penso che il libro che mi abbia segnato di più è stato “Il ritratto di Dorian Gray”, di Oscar Wilde. Penso che è stato un po' il massimo che ho letto in quell'epoca. Ho letto qualcosa di Emile Zola, ho letto “I miserabili” di Victor Hugo, come libri più importanti.
G – “I miserabili”? Un bel mattone.
D – Bel mattone. Non son riuscito a leggerlo assolutamente tutto, penso che mi manchi qualcosa, comunque ce l'ho a casa, prima o poi lo sfoglierò.
G – Ma io ricordavo un altro libro.
D – Un altro libro?
G – Mi hai detto più di una volta...
D – Ah, quello l'ho scoperto nell'epoca in cui ho cominciato l'università. L'ho scoperto praticamente uscendo dalla scuola, intorno ai 18 anni.
G – Ed è stato amore.
D – Sì, sì, sì, l'ho letto più volte... penso che sia un po' il libro che rispecchia di più tanti versi della mia personalità.
G – Dai, si tratta di?
D – Si tratta de “Il lupo della steppa”, scritto da Herman Hesse, di cui ho letto anche altri libri, e mi piacciono tantissimo, ma quello lì... Mi ha fatto capire che certe cose di cui magari ero un attimino reticente erano dei pregi piuttosto che...
G – Non capisco.
D – Il fatto di avere una personalità, per quello che era la mia età, un po' al di fuori dalle righe, diciamo così. Io son stato un po' segnato, soprattutto nella mia adolescenza, come una persona un po' particolare, per cose che ho ereditato a livello familiare, anche per interessi propri. E già da adolescente avevo un certo vocabolario, avevo un comportamento magari più corretto nei confronti di certe situazioni, piuttosto che quelli che avevano alla mia età... Cioè mi sentivo un attimino messo da parte nell'adolescenza perché... insomma, per le cose che mi sono capitate nella vita avevo un approccio con la realtà da una persona più grande. E questo magari adesso è più facile da gestire. Essendo adolescente magari mi veniva molto riconosciuto dai miei professori o dai miei datori di lavoro, invece per quelli che erano i ragazzi della mia età...
G – Cioè hai imparato ad andare per la tua strada? Hai imparato a sbattertene?
D – Diciamo di sì.
G – Ma io parlo senza averlo letto. Di cosa parla il libro?
D – Allora, basicamente il libro parla di questo personaggio che è abbastanza autobiografico, nei confronti dell'autore, e... praticamente lui spiega un momento storico di cui lui è stato parte e de come se comportava la società, de come stavano andando le cose e dell'approccio che lui aveva nella vita nei confronti di tutte queste cose che succedevano nella società. Lui riesce praticamente fare una specie di giochino tra quello che sarebbe dottor Jekyll e mister Hyde e... parlando della sua personalità vista da due punti di vista diversi. Cioè quello che era il lupo, o la bestia, in cui lui rispecchiava i suoi sentimenti più veri, più puri e più bestiali, e dall'altra parte della sua personalità parlava di essere una persona educata in una certa maniera, che apparteneva a una certa estrazione sociale ed economica. E quindi lui, insomma, fa una specie di ritratto autobiografico di questa polarità che c'era nella sua mente, ed è un qualcosa di molto bello e anche profondo, perché soprattutto quando lui parla della bestia tira in ballo tanti punti che possono sembrare scuri e magari non visti in una certa maniera, e lui invece dice che queste cose qua, questa contrapposizione con l'altra frazione te da la possibilità di avere una vita certamente equilibrata. Cioè tu devi essere un po' bestia e un po' razionale, per poter vivere la vita in maniera equilibrata.
G – Certo. E se l'equilibrio perfetto non esiste, tu ti senti più bestia o più uomo inserito in un contesto sociale?
D – Allora diciamo che io sono un po' come lui, no? Tento di cercare l'equilibrio assoluto. Su tanti punti di vista credo di essere abbastanza bestia, cioè nel senso sono una persona abbastanza schietta, con un cuore abbastanza grande.
G – Sei un passionale, per questo mi piaci.
D – Grazie, eh, eh. E quindi tento di inserire questa bestia nella vita di tutti i giorni, dopo addolcirla col minimo di potere razionale che ho per gestire un certo tipo di personalità, ecco. Finora penso che mi stia andando abbastanza bene...
G – Già, credo che tu ti sia inserito molto bene.