mercoledì 14 maggio 2008

Conversazioni con Daniel Adami, il Cercavite. #1/1

Incontro n° 1.
Registrazione del 29 Aprile 2008, sui divanetti dell'Emporio.

Parte 1. Ore 19.20 – 20.00.

Argomenti di riflessione
1 – Definire saudade è impossibile, ma non ci si deve arrendere, mai.
2 – Il dialetto riduce le distanze.
3 – Essere un cercavite: prendere la vita per i coglioni.
4 – Punk e coscienza politica.
5 – L'illusione d'amare in età adolescenziale.
6 – Razionalità e bestialità: un equilibrio possibile.

G – Allora Daniel, hai idea del perché siamo qui?
D – Credo proprio di sì, però...
G – Addirittura, io non ne ho idea.
D – No, io ne ho una molto leggera, però non so se andrà per quel verso, comunque.
G – Quale sarebbe quest'idea?
D – Quest'idea è di fare innanzitutto qualcosa di cui se ne parla da un po'. L'inizio e la fine di un percorso. L'inizio perché è un qualcosa di nuovo quel che facciamo, la fine perché è la conclusione di qualcosa che avevamo in mente.
G – Va be', di cosa parliamo, Daniel?
D – Allora, innanzitutto parliamo...
G – Dimmi chi sei, Daniel.
D – Io sono Daniel, e da qua se parte. Sono una persona che nonostante viene da un posto abbastanza lontano da questo e dopo un frammento di vita vissuto qui...
G – Da quanti anni sei qui?
D – Sono qui da quasi sei anni. Quest'estate, il 25 luglio, si compiono sei anni.
G – Quindi, hai vissuto in Argentina fino a?
D – Vent'anni. Dovevo ancora fare i ventuno. Venti anni vissuti là, altri sei, quasi sette, qui. Tornando al discorso di prima, mi ritrovo in una situazione particolare, perché nonostante il posto in cui sono nato, le condizioni di vita su... cioè diciamo, sui binari in cui ho vissuto la mia vita, in questo momento credo di avere attaccato delle belle radici qua, e mi ritrovo in una situazione molto bella, nonostante quello che mi potevo aspettare prima di arrivare. Altrimenti non saremmo qui a fare questo.
G – Certo, ma la nostalgia c'è.
D – Nostalgia c'è. Come dice il nostro amico Filippo c'è un po' di saudade. Però...
G – Cosa vuol dire saudade?
D – È come una specie di nostalgia però che va riferita a un concetto molto più ampio di quello che sarebbe la nostalgia intesa come parola che uno può trovare sul dizionario. Cioè, un qualcosa di molto più... Insomma, è una situazione...
G – In due parole, Daniel, che differenza c'è con la nostra nostalgia? È un sentimento che potete provare solo voi?
D – No, no. La saudade è una parola che si trova soltanto nella lingua portoghese, che è una lingua latina come la nostra. Però questa parola in particolare rappresenta una cosa che in altre lingue non viene rappresentata da nessuna parola specifica, se no da... cioè la saudade è un concetto più che una parola, perché riferisce quello che sarebbe la nostalgia, ma non soltanto delle cose o delle persone. Parla un po' di quello che sarebbe l'intensità della nostalgia, e non ha un riferimento particolare soltanto ai ricordi, ma è legata a un insieme di cose che uno si ritrova nella vita quotidiana. Sinceramente io non vorrei esprimermi tantissimo perché non l'ho studiata.
G – È un qualcosa che senti, e forse saudade è l'unico modo per dirlo.
D – Sì, forse è la parola che sintetizza di più un insieme di cose che fanno un concetto.
G – Giusto. Quindi soffri di saudade, ogni tanto.
D – Sì, si può dire di sì. È una bella cosa comunque.
G – Cosa ti manca di più?
D – Cosa mi manca di più? Una delle cose di cui si può sentire un po' di nostalgia è quello che va legato ai rapporti umani in sé. Noi abbiamo dei concetti un po' diversi, un approccio diverso sulle persone. Che non va legato soltanto ai sentimenti, ma anche al modo in cui ci esprimiamo. Perché parlando una lingua diversa e soprattutto un dialetto – perché in Argentina abbiamo una maniera molto speciale di parlare lo spagnolo – riusciamo a trovare una distanza forse minore nei confronti delle altre persone. È una cosa abbastanza difficile da spiegare.
G – Ti mancano i rapporti sudamericani. L'amicizia sudamericana.
D – No, non solo l'amicizia, parlo anche di rapporti in genere, con la gente in genere.
G – Ti manca la tua gente, il calore della tua gente. Noi siamo più freddi?
D – No, beh, assolutamente. Io sono uno di quelli che... a me non piace giudicare... cioè io penso che le persone siano un mondo a sé, e quindi al di là della cultura che possono aver avuto e delle cose che pensano. Cioè io non sono uno di quelli che dicono: qua in Europa si è più freddi, e in Sudamerica è così. C'è di tutto. Anche là c'è molta gente fredda. È il fatto che comunque il modo di relazionarsi è un po' diverso. È difficile da capire, sono delle cose che soltanto si capiscono quando uno le vive.
G – Certo.
D – Quella diciamo che è una delle cose che me vengono più così lampantemente in mente, se ci penso due secondi. Poi tante altre cose, la famiglia, amici che ho lasciato, attività che avevo.
G – Hai detto che sei arrivato dall'Argentina nel 2002. Cosa facevi là?
D – Per fare una specie di premessa a ciò che dirò dopo, io mi sono sempre considerato quello che noi in Argentina chiamiamo un cercavite. Cioè sono stato una persona molto attiva, con tanti interessi, una certa disponibilità e capacità per affrontare le cose che mi piacevano e soprattutto la passione di andare, almeno quasi sempre, o è quello che ho tentato, fino in fondo. Insomma ho studiato, ho finito la scuola... ho fatto un qualcosa che sarebbe abbastanza simile a quello che è il liceo classico.
G – Addirittura.
D – Sì, sì, ho fatto il liceo ad indirizzo sulle scienze sociali, che son sempre state un po' il mio forte.
G – Sì. Non è proprio il liceo classico.
D – No. Cioè diciamo che come introduzione è stato un po' così, poi ovviamente la scuola là è diversa. Finiti gli studi – io ho finito perfettamente, non ho avuto mai gravi difficoltà nella scuola, salvo con matematica e fisica...
G – Ah, matematica e fisica ti buttavano un po' giù?
D – No, non sono mai riuscito a digerirle fino in fondo, magari approfondendo potrei trovare degli spunti che non pensavo.
G – Beh, insomma, dai, non mi pare il caso.
D – No, dico, qualora succedesse...
G – Ma speriamo di no, dai.
D – No, non me lo auguro nemmeno, però nella vita non se sa mai. Nonostante questo ho fatto la scuola. Poi, finita la scuola, per un anno ho smesso di studiare invece di cominciare l'università subito. Ho fatto un anno in cui ho vissuto sei mesi a Cordoba – che è la mia città – in cui lavoravo. Gli altri sei mesi sono andato a vivere a Buenos Aires, perché ho conosciuto una ragazza che mi ha fatto di aggancio...
G – Ah.
D – Eh, è stato il mio primo amore. Poi non è successo nulla, addirittura questa ragazza è uscita con il mio migliore amico. Però, al di là di questo, questa ragazza mi ha fatto di aggancio per fare uno stage di sei mesi presso la EMI Melograph - che è la compagnia discografica EMI - lavorando nel reparto diritti d'autore. Il mio lavoro consisteva più che altro nel ritrovarmi con diversi musicisti, produttori, e gente che stava nei dintorni dei gruppi. Facevo come una specie di corriere in cui me davano le cose da portare a questi gruppi, dei nastri che avessero registrato, oppure gadget, oppure dei ticket per andare a veder concerti. Ho lavorato sei mesi lì, mi sono ritrovato credo come mai più in vita mia, perché ero con le mani nella pasta su la cosa che mi piace di più, che è la musica.
G – E al tempo eri già un grande conoscitore di musica? Quanti anni avevi? Diciannove?
D – Ho fatto i diciannove lavorando lì.
G – Ed avevi già un approccio internazionale per la musica o eri più legato alla musica della tua terra?
D – Mah, diciamo che prima di cominciare a lavorare lì ero più legato alla musica che un po' avevo ereditato rubando i dischi a mio padre, oppure con Felipe, che ci prendevamo dei dischi. Molta musica vecchia, soprattutto scuola anni settanta, ottanta. I classiconi, con quelli lì che si comincia. Ho avuto anche il mio periodo punkettone, intorno ai 16 anni. Ho cominciato coi Ramones, dopo sono andato dritto sui Rancid. Ascoltavo molti gruppi californiani, hard-core.
G – È stata una piccola parentesi, diciamo.
D – No, io di quel periodo lì ho un ricordo molto bello, io ne vado molto fiero. Perché fino a quel periodo lì io vivevo la musica in una maniera molto... come dire, mi piaceva, l'ascoltavo tantissimo, ma mi mancava l'input, non lo so, nell'atteggiamento magari. Avvicinandomi alla musica punk ho risvegliato un attimo la mia personalità, ho cominciato a vestirmi in una maniera diversa, avevo anche un approccio diverso con le persone che mi stavano intorno. Ero praticamente nel fiore dell'adolescenza e quindi tutte quelle cose che magari anni prima mi piacevano, potevo trarre qualche spunto, qualcosa. In quell'epoca lì le ho sintetizzate proprio in una maniera molto più complessa, completa. Ho cominciato a frequentare gente che faceva quella musica, con cui ho avuto qualche gruppetto, e poi ho cominciato a rispecchiare un po' anche quelle che erano le mie idee, anche politiche. Quindi è stato un po' il risveglio, diciamolo così. Mi sono tirato un attimo fori, ecco, a livello di personalità. Ho cominciato a pormi in una maniera diversa, avevo un atteggiamento molto più duro. Non lo so, magari anni prima frequentavo un po' tutti, invece in quell'epoca cominciavo a frequentare meno persone, ma quelle che avevano più a che vedere con me. Niente, poi, finito quel periodo, ho cominciato a lavorare alla EMI e lì ho cominciato anche a rispettare, capire di più i musicisti argentini, che magari avevo trascurato anni prima. Quindi è stato anche per me una cosa molto importante, il fatto di lavorare lì. Ho cominciato a concepire la musica come qualcosa di meno etichettato, qualcosa di molto più grande, mi piacevano più stili, vedevo più concerti, stavo dietro, vedevo come si comportavano i diversi gruppi. Sono stato invitato anche a diverse feste che facevano questi musicisti. Insomma, ho visto un po' quello che era il dietroscena di quello che prima magari riuscivo a vedere soltanto... cioè immaginandomelo, vedendo qualche programma, ecco.
G – E tutto ciò tramite questa ragazza.
D – Tramite questa ragazza che, come detto prima, è stata il mio primo amore forte. È stato anche molto importante per me, perché dopo quello che è successo con questa ragazza ho cominciato a capire che bisognava concepire le ragazze in una maniera molto più... anche più grande. È stato lo stesso percorso che con la musica, cioè io mi ero innamorato di lei non perché mi piacesse soltanto la sua persona, se no perché lei rispecchiava tante cose che a me piacevano. Cioè lei era così, a me piacevano le donne fatte in quella maniera lì, con quell'atteggiamento. Sicuramente si atteggiava molto di più di quello che era, difatti dopo col tempo l'ho capito.
G – Non dirmi che ti piacciono quelle che si atteggiano più di quello che sono.
D – No, in quell'epoca, 17 anni, uno ha una concezione dell'amore molto più vaga. Era una questione anche più etichettata, a me piacevano magari le ragazze con un fisico come il suo, coi capelli come li aveva lei, che le piacesse la stessa musica che piaceva a me, e cose del genere, ma, nonostante queste piccole cose con cui ritrovavo affinità, a livello personale non ce n'era. E quindi, dopo questa... questo fallimento, diciamolo così, ho capito che bisognava, insomma, avere un rapporto con le donne che andava al di là di queste cose. Dovevo trovare un qualcosa di molto più profondo.
G – E come si chiamava?
D – Barbara. Si chiama, non è ancora morta.
G – La rivedrai?
D – Non lo so, probabilmente sì, perché abita in Spagna e volendo potrei anche, però a questo punto sinceramente non mi cambierebbe nulla.
G – Non ho dubbi.
D – Non mi cambierebbe assolutamente nulla, cioè oggi una persona come lei non mi direbbe nulla. Ecco.
G – Quindi con lei hai capito qual è la differenza tra l'amore e un'infatuazione passeggera.
D – Ho capito che l'amore è un qualcosa di molto più complesso, e che andava approcciato in una maniera diversa.
[Pausa. Si parla della birra che stiamo bevendo, birra da 12 gradi. Il cercavite racconta un aneddoto e poi confessa di essere ancora un po' bloccato per la presenza del registratore. Lo tranquillizzo]
D – Comunque, tornando al punto dove eravamo, insomma dopo questi sei mesi che ho fatto là, a Buenos Aires, sono ritornato a Cordoba e ho cominciato l'università. Nonché a lavorare. A Cordoba ho trovato un lavoretto che mi piaceva. Lavoravo in un panificio, facevo del pane.
G – Ti alzavi prestissimo la mattina?
D – Mi svegliavo presto ma più che altro lavoravo di più il pomeriggio, per fare il pane che andava cotto per l'altro giorno. Impastavo. Era un bel lavoro, nonostante come si pensi, ho un bellissimo ricordo di quel periodo lì.
G – Quanto è durato?
D – Ho fatto un anno e mezzo.
G – E poi sei partito.
D – Sì, dopo qualche mese son partito. Avendo questo lavoro ho cominciato l'università, mi sono iscritto a Storia, studiavo per diventare professore de storia. Facendo altri due anni, piuttosto di diventare professore potevo fare storiografia, che è la scienza che se occupa de fare i libri di storia, che era qualcosa che mi piaceva anche, come idea. Comunque dovevo ancora finire l'università per capire di farlo o meno. Comunque la storia per me è stata sempre la materia di scuola che mi piaceva di più, con la quale avevo una maggiore affinità. Son sempre stato una persona molto curiosa, leggevo tantissimo, adesso un po' meno, adesso mi son fermato. In quel periodo leggevo tantissimo, storia e anche tanti romanzi, anche classici, da partire... non lo so...
G – Il romanzo della tua adolescenza?
D – Eh, ho letto un bel po' di cose anche un po' impegnative per la mia età.
G – Certo, ma il romanzo dei tuoi primi vent'anni?
D – Mah, penso che il libro che mi abbia segnato di più è stato “Il ritratto di Dorian Gray”, di Oscar Wilde. Penso che è stato un po' il massimo che ho letto in quell'epoca. Ho letto qualcosa di Emile Zola, ho letto “I miserabili” di Victor Hugo, come libri più importanti.
G – “I miserabili”? Un bel mattone.
D – Bel mattone. Non son riuscito a leggerlo assolutamente tutto, penso che mi manchi qualcosa, comunque ce l'ho a casa, prima o poi lo sfoglierò.
G – Ma io ricordavo un altro libro.
D – Un altro libro?
G – Mi hai detto più di una volta...
D – Ah, quello l'ho scoperto nell'epoca in cui ho cominciato l'università. L'ho scoperto praticamente uscendo dalla scuola, intorno ai 18 anni.
G – Ed è stato amore.
D – Sì, sì, sì, l'ho letto più volte... penso che sia un po' il libro che rispecchia di più tanti versi della mia personalità.
G – Dai, si tratta di?
D – Si tratta de “Il lupo della steppa”, scritto da Herman Hesse, di cui ho letto anche altri libri, e mi piacciono tantissimo, ma quello lì... Mi ha fatto capire che certe cose di cui magari ero un attimino reticente erano dei pregi piuttosto che...
G – Non capisco.
D – Il fatto di avere una personalità, per quello che era la mia età, un po' al di fuori dalle righe, diciamo così. Io son stato un po' segnato, soprattutto nella mia adolescenza, come una persona un po' particolare, per cose che ho ereditato a livello familiare, anche per interessi propri. E già da adolescente avevo un certo vocabolario, avevo un comportamento magari più corretto nei confronti di certe situazioni, piuttosto che quelli che avevano alla mia età... Cioè mi sentivo un attimino messo da parte nell'adolescenza perché... insomma, per le cose che mi sono capitate nella vita avevo un approccio con la realtà da una persona più grande. E questo magari adesso è più facile da gestire. Essendo adolescente magari mi veniva molto riconosciuto dai miei professori o dai miei datori di lavoro, invece per quelli che erano i ragazzi della mia età...
G – Cioè hai imparato ad andare per la tua strada? Hai imparato a sbattertene?
D – Diciamo di sì.
G – Ma io parlo senza averlo letto. Di cosa parla il libro?
D – Allora, basicamente il libro parla di questo personaggio che è abbastanza autobiografico, nei confronti dell'autore, e... praticamente lui spiega un momento storico di cui lui è stato parte e de come se comportava la società, de come stavano andando le cose e dell'approccio che lui aveva nella vita nei confronti di tutte queste cose che succedevano nella società. Lui riesce praticamente fare una specie di giochino tra quello che sarebbe dottor Jekyll e mister Hyde e... parlando della sua personalità vista da due punti di vista diversi. Cioè quello che era il lupo, o la bestia, in cui lui rispecchiava i suoi sentimenti più veri, più puri e più bestiali, e dall'altra parte della sua personalità parlava di essere una persona educata in una certa maniera, che apparteneva a una certa estrazione sociale ed economica. E quindi lui, insomma, fa una specie di ritratto autobiografico di questa polarità che c'era nella sua mente, ed è un qualcosa di molto bello e anche profondo, perché soprattutto quando lui parla della bestia tira in ballo tanti punti che possono sembrare scuri e magari non visti in una certa maniera, e lui invece dice che queste cose qua, questa contrapposizione con l'altra frazione te da la possibilità di avere una vita certamente equilibrata. Cioè tu devi essere un po' bestia e un po' razionale, per poter vivere la vita in maniera equilibrata.
G – Certo. E se l'equilibrio perfetto non esiste, tu ti senti più bestia o più uomo inserito in un contesto sociale?
D – Allora diciamo che io sono un po' come lui, no? Tento di cercare l'equilibrio assoluto. Su tanti punti di vista credo di essere abbastanza bestia, cioè nel senso sono una persona abbastanza schietta, con un cuore abbastanza grande.
G – Sei un passionale, per questo mi piaci.
D – Grazie, eh, eh. E quindi tento di inserire questa bestia nella vita di tutti i giorni, dopo addolcirla col minimo di potere razionale che ho per gestire un certo tipo di personalità, ecco. Finora penso che mi stia andando abbastanza bene...
G – Già, credo che tu ti sia inserito molto bene.

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